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Dotti/Il movimento della speranza. Dal futuro al presente

Beata speranza/ “La freccia direzionale del tempo nel pensiero scientifico va dal movimento alla figura, dal passato al presente. E’ il principio di causalità. Invece, il pensiero poetico, il pensiero religioso, vitale, va dal futuro al presente : ha un movimento inverso. E’ il movimento della speranza”.

Il movimento della speranza. Dal futuro al presente. “Nella pianta di grano c’è il sogno della spiga; e fintanto che non ha raggiunto la maturazione questo sogno continua ad essere operante. Così, nel profondo della coscienza umana c’è una speranza, l’attesa di qualcosa che deve compiersi infallibilmente nell’umanità e che i presentimenti non riescono a delineare in forme precise, ma che sicuramente avverrà in quel momento.” (Giovanni Vannucci, Mistero del tempo).

Un grande maestro spirituale del novecento introduce così il tema della speranza, esperienza di senso e felicità che abita la nostra vita, il nostro oggi, e la conduce verso il suo compimento. La speranza che sta al principio della fede e apre al cammino concreto dell’amore generativo. La speranza, virtù bambina divina, è ciò che resiste alla fine di ogni illusione , ad ogni promessa tradita. Principio di ogni generazione, compagnia silenziosa di ogni attraversamento traumatico. Forza silenziosa e trasformatrice della vita.

I vecchi possono innovare?

E’ giovane chi spera, chi vive la possibilità dell’impossibile, chi vede l’invisibile. Chi si affida al mistero della realtà rompendo ogni fatalismo. Chi spera fa l’esperienza di Dio.

E noi?

Si può essere ancora persone generative quando l’età avanza e si diventa anziani ?

Può essere generativa una società divenuta quasi biologicamente sterile e anagraficamente attempata?

A cosa dobbiamo guardare, chi dobbiamo ascoltare per rispondere a queste domande?

Domande inevitabili nelle condizioni demografiche e nel decadimento istituzionale  in cui ci troviamo oggi in Italia. Domande che ci coinvolgono come persone singolari e come persone plurali, nelle diverse forme comunitarie ed istituzionali. Comprese quelle ecclesiali. Domande che ci accompagneranno almeno nei prossimi tre decenni, sempre che cominciamo a metterci mano ora, altrimenti i decenni saranno molti di piùe facilmente il dramma si tramuterà in tragedia.

Più semplicemente la domanda brutale è : “i vecchi” possono innovare?”

Potremmo trovare qualche sostegno nella risposta, oltre che nel nostro cuore, rileggendo la storia o la cronaca e rintracciando vite di grandi innovatori in età avanzata, in moltissimi campi: nella storia dell’arte, in filosofia, nella religione, in politica.  Senza andare troppo in là nel tempo, da Immanuel Kant a Papa Giovanni XXIII, da Mandela a Papa Francesco, da Beethoven a Ghandi. Chi continua ad essere generativo e chi esprime proprio nella parte finale della vita la pienezza della propria generatività, il suo culmine.

Niente ci impedisce di osare

C’è di che sperare quindi, anche per noi.

Possiamo così contare non solo sulla naturale spinta al cambiamento delle nuove generazioni (purtroppo sempre più minoritaria), ma immaginare che anche le più mature possano giocare positivamente in tal senso. Ognuno può quindi portare il proprio contributo nella necessaria e urgente trasformazione a cui siamo chiamati. Il movimento della speranza. Dal futuro al presente.

Ovunque possono formarsi avanguardie profetiche, di età diverse, in grado di dare vita a nuove esperienze istituenti. Anzi credo che chi incarni maggiormente il paradosso del rapporto tra età e cambiamento e ne percepisca concretamente l’importanza e l’urgenza abbia oggi molte più possibilità di assumere una soggettività propositiva e positiva. In fondo la libertà ci provoca ad ogni età e l’autorità “autorizza” sempre la vita portando  a valore comune (rendendo “ autore” ) ciò che è nascosto.

Niente ci impedisce di osare: ascoltare, discernere, agire. Insieme.

L’azione dà  compimento contingente alla virtù della speranza, assumendosi responsabilmente questo compito. Immaginare un senso ed un futuro nuovo per persone singolari e plurali può apparire in molti  casi “impossibile”.  Può essere facile abbandonarsi ad una sorta di fatalismo nichilista.

Ma è proprio questa “impossibilità” che rende la nostra azione  reale e significativa. .Nel tempo delle macchine che fanno il “possibile” all’uomo non resta altro che l’”Impossibile”.

La speranza, sentinella dell’infinito che abita la vita, risveglia la nostra vocazione umana, la mantiene viva e dinamica nell’inevitabile tensione drammatica che costituisce il  reale.

Così si compie la “beata speranza” , perché Il bello, il buono, il giusto, il vero devono ancora “avvenire”.

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