E’ l’inizio del capitolo 20 del vangelo di Giovanni.
Tutto comincia con una situazione in bilico fra notte e giorno: è mattino, ma è ancora buio. E proprio mentre tutto è ancora da decifrare fa capolino la novità, ma più suggerita che annunciata, sia perché è ancora notte, sia perché Maria di Magdata non sa ancora che cosa sia effettivamente avvenuto: la pietra del sepolcro è stata ribaltata.
Maria pensa ciò che gli occhi le suggeriscono: è stato trafugato il cadavere. Tutto comincia da ciò che si vede, anzi: da ciò che non si vede. È la pasqua degli occhi, pasqua povera: parla solo di ciò che non c’è più. Gli occhi, il senso più vorace, devono solo constatare che non servono a nulla: non c’è più nulla da vedere.
Il vuoto degli occhi diventa frenesia dei piedi. Pietro e Giovanni, avvisati da Maria, corrono. La frenesia è timidamente premiata: non vedono solo il sepolcro vuoto, ma i teli, (in greco othònia) le lenzuola. Si abbozza il tema affascinante del sepolcro diventato camera nuziale. Il buco nero della morte è diventato lo spazio dell’amore. Giovanni incomincia a “vedere” diversamente.
Pietro osserva i teli e il sudario, forse considerato come la risibile reliquia della morte è piegato, a parte. Non serve più. L’altro discepolo, invece, “vide e credette”. Vede davvero perché crede: vede ciò che non si vede “a occhio nudo”. Il suo sguardo è diventato mirabilmente penetrante. La trasfigurazione dello sguardo si completa.
Come assomiglia la nostra situazione a quella di Maria di Magdala. Disponiamo solo di indizi e spesso ci fermiamo a quelli. E spesso quello che si vede ci impedisce di arrivare a quello che non si vede. È l’esperienza traumatica di questi giorni: è la guerra che ci “blocca” e ci impedisce di “andare oltre”. Anche perché la guerra la si vede molto: è immagine ossessiva di ogni giorno, continuamente esposta, raccontata, documentata. E così facciamo grande fatica ad andare oltre.
Per poter andare oltre bisogna incominciare a riconoscere che non ne siamo capaci. Tante pasque cominciano proprio dalla nostra incapacità di vedere. Per poter vedere ciò che sta oltre bisogna incominciare a prendere atto che non si vede.
Poi, prima o poi, arriva il tonfo al cuore che rende possibile vedere quello che prima non si riusciva a vedere. Ci è necessaria questa inattesa trasfigurazione dello sguardo. È lo sguardo del discepolo di ogni tempo e di ogni luogo.
Ci ricordiamo il passaggio famoso del “Piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry. La volpe ha il suo ultimo dialogo con il piccolo principe: “Addio – disse la volpe. – Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”.
Noi siamo coloro che tentiamo di vedere con il cuore. E il cuore è molto più necessario quando gli occhi sono ostruiti dalle immagini ossessive della morte. Dobbiamo tornare ad assumere il nostro ruolo di discepoli innamorati.
Leggi anche:
Doni