Il profano nella bibbia. Tra sacro e santo

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Il profano nella bibbia. Tra sacro e santo

La Bibbia: si potrebbe definire il canto dell’umano, il poema dell’uomo,
con tutto ciò che attiene all’uomo, l’uomo creatura, plasmato di terra e di cielo, l’uomo voluto e amato da Dio,
tanto da divenire lui stesso uomo.

E il Verbo si fece carne

“Il Verbo si fece carne e  venne ad abitare in mezzo a noi”(Gv1,14). Il Creatore creatura, l’Onnipotente debole, il Kyrios spogliato della sua divinità, il Santo, crocifisso. È il paradosso della fede cristiana: il Logos preesistente si fa carne, fragilità, limite, caducità, entra nel mondo condividendo la storia dell’uomo, di ogni uomo, mostrando l’efficacia della “carne” e nel contempo dandole direzione, significato profondo, salvezza.

Già Tertulliano diceva:

La carne è il cardine della salvezza.

Si tratta dell’umanità della fede, riflesso di quello che Karl Barth ha chiamato “l’umanità di Dio”. Questo per dire che Dio si è fatto uomo perché l’uomo umanizzi sempre più se stesso. La finalità della rivelazione biblica è questa ed è già presente nel Primo Testamento, ma trova in Gesù la sua pienezza. Gesù, infatti, ricapitola la Legge in un solo comandamento “amatevi gli uni gli altri” (Gv 15,17): una legge prettamente umana. In questo comando dell’amore reciproco sta la sintesi dell’antropologia cristiana.

L’umano è il “luogo” di Dio

Monastero di Solovki, Russia

Così che possiamo dire che l’umano, il profano, è il luogo di Dio, il “dove” di Dio. Noi  non possiamo biblicamente conoscere nulla di Dio in sé, se non nel suo “esserci”, nella relazione con gli uomini. Tutto quello che è umano, quindi il profano, (“profano” significa etimologicamente “fuori dal tempio”) è voluto da Dio nella sua specificità. E’ amato da Dio nella propria dignità e autonomia.

Sono gli antichi racconti della Bibbia che ci fanno scoprire le realtà profane nella loro verità intrinseca. Ci rivelano il valore della creazione e la relazione tra storia profana e storia della salvezza e come questa si innervi in quella.

Nella Torah, i primi cinque libri della Bibbia, dove secondo Von Rad è presente il “Credo storico di Israele” (Dt 26,5b-9) non si trova la fede nel Dio creatore (questo venne molto dopo). E non vi si trova neppure la coscienza nel Dio unico (anche questa è un’esperienza tardiva). Piuttosto è presente la professione rivolta al Dio liberatore, al Dio che cammina con il suo popolo, lo libera dalla schiavitù, gli dona la terra e lo chiama all’alleanza.

 

 

Egli ci fece uscire dall’Egitto e ci diede questo Paese dove scorre  latte e miele… per essere felici e conservati in vita”.

È il kerigma di Israele. L’Emmanuele: il Dio con noi e per noi.

L’imperialismo religioso del massimo di Dio e del minimo dell’uomo

Mar Morto, Israele

Invece una lettura un po’ distorta, attraverso i secoli, ci ha condotto a un “imperialismo religioso”, come lo definisce Bruno Maggioni, che esige “il massimo di Dio e il minimo per l’uomo”.

Tutto questo è lontano da un autentico spirito biblico e nasce, secondo De Lubac, da un equivoco fra ciò che è sacro e ciò che è santo e da una progressiva fagocitazione del sacro ai danni del santo.

Il sacro è una mediazione che evoca il divino. E così deve rimanere. Non può sostituirsi a Dio e prenderne il posto.

Paradigmatico nel libro della Genesi è il racconto del sogno di Giacobbe (Gen 28,10-19) in cui si  narra di un misterioso incontro con Dio. Giacobbe ne rimane rapito perché è entrato in  contatto con una presenza altra, ha avuto un’esperienza mistica in cui è stato spossessato e posseduto. Al risveglio erige una stele e chiama quel luogo Bet’El, la casa di Dio. Da allora questo non luogo, un luogo anonimo, diventa “memoriale” della visita di Dio.

Così nasce il santuario come poi sarà Penuel, Moab, Sichem, Bersabea,  Mamre… secondo quello che era in uso nell’ambiente semitico.

Bene. È giusto.

Il rischio sempre incombente è che si sbarrino le porte e il santuario si trasformi in una roccaforte invalicabile.

E’ quello che avviene con la chiusura che nel tempio di Gerusalemme separava l’atrio degli ebrei da quello dei gentili. Al punto che a ogni incirconciso era proibito superare la barriera sotto pena di morte.

D’altronde l’etimologia del sacro porta a separare, dividere, misurare, a salvaguardarsi attraverso riti di purificazione, a rinchiudersi. Insieme il sacro tende anche ad espandersi quando tutto attraverso una rigida precettistica invade la vita privata, sociale, politica. Fino al punto che l’intera realtà viene assorbita dal sacro, arrivando a un “integralismo sacrale”.

Allora il tempio diventa luogo di conservazione, custodito dai dottori della legge; i sacerdoti diventano casta. Il sabato, da segno della amorevole sovranità di Dio nel mondo, viene cosificato e reso asfittico. La Torah, dono celeste per insegnare a Israele a vivere nella libertà e nella responsabilità, si fa oppressiva fino a un legalismo castrante. La terra stessa, benedizione di Dio per gli uomini, è delimitata e chiusa dove fino ad oggi si alzano muri di separazione.

È la tentazione che accompagna l’uomo religioso. Per paura di “sporcare” il sacro, lo nasconde, tanto da fargli perdere la sua specificità e renderlo in-sensato.

“Tutta la terra è piena della sua gloria”

Mar Morto, Israele

L’inverso è il “santo”. Qui è Dio il tre volte santo, che entra nella realtà, nella vita, nella storia. “Tutta la terra è piena della sua gloria”(Is 6,3) canta il profeta.

La gloria di Dio “pone la sua tenda” là dove noi siamo. È il soffio creatore di Dio, il suo Spirito che, quando scende nel profano, lo feconda dall’interno, gli dà luce, spessore, lo vivifica, lasciandolo tuttavia sempre profano.

Sarà l’esperienza profetica che rivaluterà il “santo”. I profeti faranno risaltare la dimensione interiore, prendendo le distanze dall’orgia cultuale o, come dice Ravasi, dalla “sarabanda rituale”, che aveva finito per offuscare il valore stesso del culto. I profeti pervengono a un processo di spiritualizzazione verso una teologia più matura. Usano espressioni durissime verso chi ripone la propria fiducia nei sacrifici, nel tempio, nel culto e dimentica il diritto e la giustizia.

La religione diventa un anestetico che sembra acquietare, ma in realtà non dice più niente. È  inutile, anzi dannosa.

In seguito sono i maestri della sapienza che con i loro interrogativi laici, leggono il mondo e la storia, arrivando a conclusioni che esulano dall’ambito sacrale, e riescono a parlare a tutti gli uomini.

Sono i Sapienti che, a ritroso, ci riportano all’ “in principio”. Là tutto quello che è chiamato dalla Parola, è buono, bello, ordinato a uno scopo. È questo il significato pregnante del termine “tob” che viene ripetuto centinaia di volte nel Primo Testamento. Il termine dice il valore, la bellezza, la bontà, la razionalità della creazione che viene da Dio e a lui è destinata. E l’uomo, immagine di Dio, è eletto a riempire la terra e a dominarla. Deve entrarci dentro secondo il progetto di Dio, in contrasto con i miti del tempo per cui l’uomo è creato per servire gli dei.

La terra, nostro santuario

Così il mondo, l’umanità, si trovano in un quadro teocentrico, che è insieme antropocentrico, contro ogni dualismo spirito – materia, anima-corpo. Tanto che Paolo, quando parla di redenzione, di salvezza, non esclude la materia. Infatti “l’intera creazione attende la rivelazione dei figli di Dio… e nutre la speranza di essere liberata per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rom 8,19-21). Questo per dire che Dio, per mezzo di Gesù Cristo, realizza  la riconciliazione del cosmo intero, di tutto il profano.

Così che si potrebbe concludere con “Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra” di nietzschiana memoria.

Questo è il nostro santuario. Qui si decide di noi stessi e di ogni essere vivente. Ci si incontra con la carne di Cristo dentro la carne di ogni uomo.

Qui si impara ad essere umani.

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