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Gesù e il distacco della trasfigurazione

Spunti per rimuginare la Parola a cura di Gian Gabriele Vertova
Seconda Domenica di Quaresima

Dal Vangelo di Luca 9, 28-36

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».

Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 

E’ ancora abbastanza diffusa fra noi cristiani l’affermazione che bisogna sempre pregare e che lo si deve fare in ogni situazione. Non mancano aneddoti significativi, ma non c’è dubbio che spesso questo “precetto” rischia di banalizzare la fatica della preghiera: a meno che la si riduca alla ripetizione delle tradizionali formule apprese nell’infanzia, in molte situazioni la “preghiera” (almeno a me) risulta difficile.

Sono grato ai Gesuiti della mia giovinezza (Oratorio di S.Giorgio) che  insistevano sulla necessaria scelta della separazione e del silenzio nei Ritiri Spirituali per imparare a pregare.

Gesù prende le distanze e sale sul monte

Luca ci presenta un significativo esempio di “distacco” di Gesù dalla situazione quotidiana. Sappiamo bene che Gesù non era per nulla uno che detestasse le relazioni e amasse la solitudine, anzi, si lasciava spesso avvicinare  da persone semplici o addirittura poco raccomandabili. Ma qui lo si vede lasciare la relazione urbana e salire sul monte. E’ un “distacco” necessario per poter conversare con interlocutori certo privilegiati, ma non a portata di mano o di bar.

Gesù radica la sua Fede nella tradizione dei Padri. Le radici degli Ebrei come fede e pensiero stanno dentro la storia dei Patriarchi, ma il popolo inizia con la liberazione dell’Egitto e l’elargizione della Torah.

Per questo la figura di Mosè è fondamentale. Egli è qualcosa di più di un leggendario personaggio storico, come la Torah è di più di un monumento storico e giuridico, dato una volte per tutte. In effetti l’uno e l’altra  sono presenti attraverso tutta la storia ebraica con continue e diverse modalità d’uso.

Mosè ricevette la Torah dal Sinai e la trasmise a Giosuè, Giosuè agli Anziani e gli Anziani ai Profeti, e i Profeti la trasmisero agli uomini della Grande Assemblea. (Trattato rabbinico Pirkè Avot 1,1).

La catena della ricezione dal Sinai giunge, di maestro in discepolo, fino a Gesù e quindi anche a me. Torah scritta e orale sono un tutt’uno e hanno la stessa origine, sono continuamente aggiornati dall’interpretazione vivente.

L’Esodo e l’anelito alla liberazione

Esodo (= uscita ) è il titolo che la Bibbia della tradizione greca dei 70 ha dato al secondo libro della Torah. Il termine richiama l’idea spirituale che ogni condizione umana (della persona e del popolo) è caratterizzata dal sentimento di sentirsi in terra straniera e di anelare alla liberazione da quella condizione.

Prima che ogni morte, ogni nascita è una uscita drammatica dal grembo materno, sono gettato all’esterno, in terra straniera, questa terra che è lo spazio dell’esistenza (Luciano Manicardi) e la vita è un continuo apprendimento a superare la nostalgia di quella dipendenza.

Gli antichi maestri ebrei si meravigliavano del fatto che la Bibbia iniziasse con la Creazione del mondo. Infatti l’evento costitutivo della fede di Israele non è prima della storia, ma dentro la storia ed è un evento di uscita e liberazione per potersi dedicare liberamente al servizio.

Nella tradizione ebraica la Torah (o Pentateuco) è opera di Mosè. Il Talmud (l’enorme Corpus della Torah orale) dice che la Torah è tutta di Mosè tranne gli ultimi 8 versi del cap.34 del libro del Deuteronomio che parlano della sua morte e che sarebbero stati scritti da Giosuè.

Elia e la “voce di silenzio sottile” di Dio

Elia invece irrompe improvvisamente nel capitolo 17 al versetto 1 del primo libro dei  Re.  Di Elia non ci viene detto nulla sulla nascita, sulla fanciullezza, sulla vocazione profetica. La sua prima apparizione è di minaccia. Elia si presenta come intermediario, come uno che agisce in nome di JHWH.

Si comprende subito che la sua missione è quella di sradicare dal popolo d’Israele i culti idolatrici, diffusi nella vita quotidiana degli Ebrei, anche per la presenza di molte donne straniere che i maschi ebrei avevano sposato. Elia sembra il protagonista e il suo potere, dichiarato con forza, ci spinge ad accostarlo ad altri profeti o sciamani di altre religioni che avevano anche il potere di governare gli elementi atmosferici.

A me però piace soprattutto la storia del passaggio dal Carmelo all’Oreb (1 Re 19, 1-18), particolarmente drammatica. Elia deve fuggire alle minacce di morte di Gezabele e, sfinito, chiede a Dio di morire. Il profeta, che è riuscito con grande coraggio a ricondurre il popolo israelita al Signore, non chiede miracoli per sé, chiede solo di morire per volontà di Dio e non per opera della regina.

Ma l’ordine del Signore è di continuare il cammino, simile all’Esodo. Il racconto è costruito tenendo fermo il parallelo con la figura di Mosè, al quale pure furono necessari 40 giorni e 40 notti prima di giungere al monte santo di Dio.

Ma questo parallelo è di fatto un’antitesi. Nella rivelazione sinaitica la forma di comunicazione di Dio è lo strepito, sul Sinai c’è il rumore, il tuono, lo shofar che suona sempre più forte (cfr. Esodo 19, 16-17). Qui, di fronte ad un Elia che strepita e parla inutilmente, Dio si manifesta nel silenzio, come “un lieve sussurro”, letteralmente “una voce di silenzio sottile” (dall’ebraico qol demamà daqqà). Cosa significa questo silenzio? E’ abbandono da parte di Dio che non vuole più intervenire nella storia?

Forse invece è la  richiesta di una diversa capacità di relazionarsi con Lui…

Vedi il commento alla prima domenica di quaresima.

 

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