Direi piuttosto che è una domanda che interroga, che invita a mettersi in questione, come ha fatto Daniele Rocchetti qualche giorno fa su queste pagine. È lui che mi ha dato l’opportunità di approfondire questo termine e scavarne la multiforme semantica.
Shalom, pace, è uno dei termini più usati nella lingua semitica, e poi in quella greca del Nuovo Testameto, eirene, ed è ancor oggi l’augurio che gli Ebrei si scambiano nel saluto.
Indica armonia, salute, prosperità, benessere integrale, esprime un progetto, un desiderio. È anche una preghiera: “Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano… Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: Su di te sia pace” (Sal 122,6.8).
È anche dono, “frutto dello Spirito”, afferma Paolo (Gal 5,22), ma un dono a caro prezzo, un dono da coltivare con perseveranza e intelligenza, da far germogliare e crescere, come il chicco di grano che, è vero che c’è, ma se si lascia nel terreno arido, non spunta.
Questo per dire che la pace non è acquiescenza, arrendevolezza, ma è dinamismo, impegno, lotta, o, per usare un termine biblico, “conversione”, cambiamento di un modo di pensare e di essere.
Occorre lavorare.
Questo mi sembra che emerga dalla Storia della salvezza così come ci viene raccontata: una pace da costruire, da interpretare, sempre in fieri, mai statica, che ci accompagna dall’inizio (Esodo) alla fine (Apocalisse) della Bibbia.
L’Esodo, l’uscita dall’Egitto del popolo scelto da Dio (un popolo di schiavi seminomadi), insieme allo sterminio degli Egiziani, diventa l’avvenimento “creatore” di Israele, paradigma di tutte le guerre di liberazione, in cui si radica la riflessione teologica di fede, e insieme politica e sociale.
L’ “Io sono”, fin dall’inizio si presenta come un Dio liberatore, mai neutrale, che si schiera dalla parte degli oppressi.
Un Dio altro, diverso, che chiede a noi di abitare la terra con responsabilità per compiere la nostra parte a servizio dell’uomo.
Non un facile “vogliamoci tutti bene”, ma un “fare” verità che è prima di tutto giustizia.
Quest’idea attraversa tutta la Scrittura, fino all’Apocalisse, dove l’autore, Giovanni, alza un velo per comprendere il senso della storia. È una visione tragica impersonata dall’impero di Babilonia, la “grande prostituta” (in realtà Roma), che ha sedotto il mondo intero con il suo regno di falsità, di corruzione, di violenza, di morte. Ma la storia è aperta al giudizio ultimo, ha una meta dove tutto troverà un compimento nella giustizia di Dio. Tuttavia questa meta, l’escaton incominci a costruirsi già “qui” e “ora” e attende la nostra coraggiosa testimonianza.
Bellissimo il canto del Magnificat messo in bocca a Maria: il canto del povero di Israele, un canto forte, fatto di troni che crollano, di potenze rovesciate, di superbie annientate, un canto di umili che risorgono, di piccolezza che diventa beata.
È il grande insegnamento del Vangelo: il rovesciamento di un ordine, col rischio di una fede che non ci chiede di stare come spettatori neutrali, ma di essere protagonisti con “con braccio teso e mano alzata”, di sporcarci le mani , di “perdere la nostra vita” (la nostra buona coscienza, il nostro buon nome) per abbattere con forza i “faraoni” e le “grandi prostitute”, i poteri economici e politici guerrafondai.
Perché il discorso su Dio, la teologia, si colloca non solo nello spazio del sacro, ma anche dentro i conflitti della storia, e il discepolo di Gesù non può essere politicamente neutrale. Egli sa da che parte stare, anzitutto dalla parte degli sconfitti, dietro lo sconfitto per eccellenza, il Crocifisso, martire del potere religioso e politico.
Può sembrare un’analisi utopistica e retorica in questo nostro tempo così complesso, dove non è così facile distinguere i buoni dai cattivi, gli schiavi dai padroni. Tuttavia sono convinta che, per chi si è lasciato sedurre dalla Parola di Dio, si apre sempre uno squarcio nel cielo, un futuro, che non si riduce a un prolungamento di forze consolidate, ma all’inverso affonda le sue radici nella potenza trasformatrice dello Spirito.
È una pace da edificare con intelligenza politica e sapienza, che implica capacità di discernimento, scelta e lotta, combattimento e decisione, resistenza e resa.