Gesù tentato. Se si fosse gettato, nessun angelo lo avrebbe soccorso

La “responsabilità sociale dell’impresa”
Marzo 4, 2022
Benicomuni. Coltivare. Custodire
Marzo 7, 2022
Vedi tutti

Gesù tentato. Se si fosse gettato, nessun angelo lo avrebbe soccorso

Spunti per rimuginare la Parola a cura di Gian Gabriele Vertova
Prima Domenica di Quaresima
Luca 4,1-13

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”».

Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”».

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Frequento l’oratorio di San Giorgio, con i gesuiti

Quand’ero ragazzo, all’Oratorio di San Giorgio in Bergamo dei Padri Gesuiti,  non mi convinsero per nulla le “giustificazioni” che cercavano di spiegare come mai anche Gesù potesse essere tentato dal diavolo.  Nella mia fantasia, eccitata dai racconti delle suore maestre della Materna “Capitanio” di via Paglia che avevo frequentato, il diavolo poteva essere un problema, un pericolo reale.

Mi avevano raccontato anche di bambini precipitati all’Inferno subito dopo aver concepito un pensiero peccaminoso: il diavolo infatti stava in agguato, pronto a ghermire le sue prede. Poi mi affannavo a immaginare un tipo di peccato che potesse essere così grave.

Alla prima confessione domandai al prete-confessore se, ad esempio, leggere “L’Intrepido” (giornaletto per ragazzi sconsigliato dalle Suore) potesse essere considerato “peccato mortale”. Ma non ebbi una risposta convincente, anzi ebbi una brutta impressione, mi sembrava che si fosse messo a ridere… Man mano che crescevo mi confermavo nella convinzione che il peccato grave fosse qualcosa di strettamente collegato al corpo e alla sua, possibile, pericolosa nudità.

Per fortuna poi ebbi la possibilità di frequentare il catechismo, dove mi venne chiarito che il peccato era una trasgressione dei Dieci Comandamenti di Dio. Li imparai a memoria: non mancava la precisa indicazione della colpa dell’adulterio, ma ben più significativi furono gli approfondimenti che stabilivano una gerarchia fra i peccati. Mi fu spiegato che i “peccati” più gravi erano quelli relativi ai primi Comandamenti, che  riguardavano i rapporti con Dio e con la fede.

Apro il Vangelo dove leggo delle “tentazioni di Gesù”

Ma solo più tardi, leggendo il Vangelo secondo Matteo (4, 1-11), scoprii l’eccezionale testimonianza delle “tentazioni di Gesù”. Matteo sviluppa i pochi versetti delle tentazioni riportate in Marco (1, 12-13) costruendo tre situazioni esemplarmente drammatiche, che corrispondono a quelle subite dal popolo ebraico nel cammino nel deserto: il cammino di Gesù e dei Cristiani non può che svilupparsi in continuità con le vicende di Israele.

Forse questo potrebbe utilmente essere richiamato nel percorso sinodale a cui siamo chiamati in questo periodo: in quanto discepoli di Gesù ci sforziamo, per quanto a noi possibile, di riprendere la sua prassi messianica.

L’esempio della prima tentazione risponde all’esigenza di un essenziale chiarimento circa il compito messianico: il Vangelo non ha come compito principale quello di rispondere alle esigenze materiali della vita, pur comprensibilmente importanti. Gesù ha ben presente l’insegnamento del Deuteronomio (8,3):

Il Signore dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore”.

Lo specifico “cristiano” si fonda sulla Parola di Dio, il cristiano sa, pur consapevole delle sue debolezze e dei suoi limiti, che anche a lui tocca richiamare e annunciare che decisivo per la propria fede è sapere di dover vivere “di quanto esce dalla bocca del Signore”.

Universitario negli anni del Vaticano II ho avuto la Grazia di scoprire che l’elemento decisivo per il cammino della Fede è la lettura e lo studio, personale e di gruppo, delle Scritture… Vale la pena di tenere presente, quando ci affanniamo a pensare possibili proposte per il Sinodo, che i discepoli cristiani non hanno altro compito che quello di annunciare la salvezza di Gesù.

In Luca le tentazioni hanno una successione diversa che in Matteo, l’ultima è rappresentata non dal dominio sui regni del mondo, ma dalla protezione divina legata al culto. Per questo motivo è connessa con il tempio, il luogo – come si esprime il Deuteronomio (12,5.11) – scelto da Dio per far abitare il suo nome.

Si è tentati rispetto alla falsa fiducia secondo la quale il dar lode al Signore sia una garanzia di essere tutelati più di altri dalle sventure della vita. Il culto non impedisce i salti nel vuoto dell’insensatezza e della sciagura che l’esistenza propria o altrui tante volte ci fa conoscere. Rendere grazia a Dio non è una forma di assicurazione sulla vita. Eppure il Signore ci ha promesso la sua protezione. La tentazione si incentra proprio su questo impegno divino.

Anche il tentatore cita la Parola e la tentazione è interna alla fede

Nelle prime due tentazioni, legate al sostentamento e al potere, Gesù replica al diavolo con parole tratte dalla Scrittura: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo» (Lc 4,4; Dt 8,3); «Sta scritto: il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Lc 4, 8; Dt 6,13). Nella terza il salto qualitativo consiste nel fatto che il «gettatore di divisione» tenta servendosi in proprio della parola di Dio. L’espressione «sta scritto», che prima fungeva da replica, ora è rilanciata come sfida: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù da qui, sta scritto infatti: Ai suoi angeli darò ordine a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano» (Lc 4,10; Sal 91,11).

La tentazione è diventata interna alla fede. Gesù non è nelle condizioni di replicare facendo appello a una fonte diversa dalla Scrittura. Per rispondere al diavolo non è dato attingere altrove.

Nelle parole che respingono l’ultima tentazione vi è, però, uno spiraglio aperto su un baratro più profondo di quello che separa il pinnacolo del tempio dal suolo. Gesù non fa più ricorso al verbo «scrivere», la lettera qui non è sufficiente; egli si affida a un «è stato detto» aperto alla sfera dell’interpretazione e del vissuto. Soprattutto con quelle parole, derivate ancora una volta dal Deuteronomio, Gesù indica che il vero tentato non è il Figlio di Dio, bensì Dio stesso: «È stato detto: Non metterai alla prova [alla lettera, “tenterai”] il Signore tuo Dio» (Lc 4, 12; Dt 6,16).

A essere posta in discussione è l’efficacia della parola di Dio. La tentazione autentica riguarda le promesse del Signore.

Gesù non fu risparmiato da morte

Se Gesù si fosse gettato dal pinnacolo nessun angelo sarebbe venuto in suo soccorso. Luca non lo afferma esplicitamente, lo lascia in qualche modo intuire con una chiosa tutta sua: «Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato (kairòs)» (Lc 4,13).

All’inizio della Quaresima lo sguardo si rivolge già al Venerdì santo. Gesù non fu risparmiato da morte, nessun angelo lo tirò giù dalla croce. Luca, a differenza degli altri due sinottici (Mt 27,46; Mc 15,33), fa morire Gesù non con un grido di abbandono (cfr. Sal 22,2), ma con parole di affidamento: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 22,46; Sal 31,6). Nelle tentazioni il diavolo dichiara che gli angeli «ti porteranno sulle loro mani» (Lc 4, 11, Sal 91,11):

Tuttavia quando si è nella prova più grande e decisiva le mani a cui affidarsi non sono angeliche, sono quelle del Padre rispetto al quale si è il Figlio e si è figli.

La prova ultima sta sempre nel morire.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


The reCAPTCHA verification period has expired. Please reload the page.