Viva il patriarcato

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E’ in atto un assalto al patriarcato e alla famiglia patriarcale, dopo la morte di Giulia Cecchettin. Ma si ha la sensazione che non c’è troppo patriarcato, ma ce n’è troppo poco. E non è una battuta

Il dramma di Giulia Cecchettin e la follia di Filippo Turetta continuano a far discutere. Uno dei temi che ha invaso giornali, siti e tv è il processo a quella che viene sommariamente definita famiglia patriarcale. Tutto è nato da un’accusa di Elena Cecchettin, sorella di Giulia, che ha affermato: “Quelli come Turetta non sono mostri, sono figli del patriarcato”. Dietro a quella affermazione si sono infilati un esercito di soldati e soldatesse agguerriti, guidati da generali di corpo d’armata, Lilli Gruber e compagnia, tutti impegnatissimi a battere in breccia la vecchia famiglia patriarcale. 

La famiglia e i suoi ruoli sono in crisi

Ho assistito, dal mio angolino di osservazione, a questi assalti, ne ho visto la ferocia, ma ho faticato a capire sia la loro frequenza sia la loro ferocia. Ero fermo – e lo sono tuttora – a una constatazione per me sconsolante. “Non si sposa più nessuno”, si dice: i matrimoni sono crollati, quelli civili e, soprattutto, quelli religiosi. Trionfa ovunque la convivenza. Anche dove la famiglia c’è, è vistosamente smagrita: marito, moglie, uno o due figli. Il tasso di natalità italiano è il più basso al mondo, pari, se non ricordo male, a quello del Giappone. Si parla più di riconoscimento dell’omosessualità e di possibilità di matrimonio per gli omosessuali che di matrimonio “tradizionale”: oddio che brutto termine, così vicino a quello battuto in breccia dagli eserciti in guerra di questi giorni. Tradizionale facilmente confina con patriarcale e patriarcale è sempre tradizionale.

Non solo non c’è più famiglia patriarcale, ma non c’è più famiglia

Se io, sempre, ripeto, dal mio angolino di osservazione, dovessi riassumere la mia sensazione nei riguardi della famiglia moderna, sarei tentato di dire che, non solo non c’è più famiglia patriarcale, ma non c’è più famiglia. Sulla base di che cosa si proclama il pericolo gravissimo del persistere in questa scassata società italiana, di un “patriarcato”? Dove si trova questo invasivo patriarcato?

Quello che manca a Filippo Turetta è il senso del ruolo

Torno a pensare a Giulia e al suo assassino, al suo assassino soprattutto. Mi pare – devo moderare le mie sensazioni per evitare qualche plotone di esecuzione – mi pare Filippo Turetta non è afflitto da un di più: il maschio dominante che brutalizza la sua donna. Filippo Turetta non è un di più, ma un di meno. Non sente un ruolo ma non sente nulla. Infatti: dopo aver ammazzato a quel modo la sua ragazza non ha avuto il coraggio di suicidarsi: “non ne ho avuto il coraggio”, ha detto.

Da un eccesso di ruoli si può guarire, da una loro totale mancanza si può morire

Ho pensato a una cosa strampalata. Filippo Turetta non ha bisogno di liberarsi dagli schemi forti della famiglia patriarcale, per il semplice motivo che non li ha. Al contrario: dovrebbe fare di tutto per acquisirli. Dovrebbe, cioè, imparare che, in una famiglia, il padre è diverso dalla madre e che i figli non sono genitori d non devono sopraffarli. Che i buoni genitori non sono fratelloni maggiori, ma genitori che impongono e si impongono. In altre parole: nella famiglia esistono dei ruoli che vanno rispettati e il rispetto dei ruoli diversi fra loro fa crescere proprio perché aiuta a guardare in faccia alla realtà. Imparo, in quel modo, che il mio mondo non è il mondo. Se Filippo avesse preso atto che Giulia non lo voleva più, non l’avrebbe ammazzata. Ma per prendere atto bisogna abituarsi a rispettare ruoli, mondi diversi. 

Per cui ho finito per maturare, sempre nel mio angolino, che non si deve abolire la famiglia patriarcale, ma la si deve, in parte ristabilire. Da un eccesso di ruoli si può guarire, da una loro totale mancanza si può morire. Il dramma di Giulia insegna.  

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