Incendi e nubifragi. La natura scatenata e le nostre paure

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Le grandi emergenze del clima: il fuoco e l’acqua. Se ne parla molto e questo aumenta l’inquietudine.
Gli incendi e i nubifragi isolano. Ci si salva e si è salvati (quasi sempre) da soli. Le grandi paure e la paura della morte

Le devastazioni del fuoco e dell’acqua

i devastanti incendi nell’isola di Rodi

Tutti gli organi di informazione di oggi sono pieni di notizie drammatiche relative al maltempo. Sito del Corriere: “Nubifragio in Lombardia, conta dei danni”. L’Eco di Bergamo: “Frane, tetti scoperchiati e allagamenti”

Dove non è il maltempo sono gli incendi. Nell’isola di Rodi è un inferno. Nell’isola di Corfù anche. Ma non solo in Grecia. La Stampa: “La Sicilia devastata dagli incendi, evacuato un padiglione dell’ospedale di Palermo…”. La Repubblica: “Tempeste e incendi in tutta Italia”.

Anche sui siti dei maggiori quotidiani stranieri, il fuoco tiene banco. Tempeste e inondazioni anche. 

Si ha la sensazione di una drammatica globalizzazione delle emergenze climatiche. Ci sono emergenze climatiche dappertutto e dappertutto se ne parla. E il fatto che se ne parli dappertutto fa aumentare la sensazione. Di fatto, non esistono angoli paradisiaci nei quali si può stare tranquilli. Perché anche nei paradisi tranquilli arrivano impietose le notizie che riferiscono del resto del mondo dove non si è per nulla tranquilli. E così non tutti hanno fuoco o acqua in casa, ma tutti sono presi dall’inquietudine. 

La solitudine di fronte alla tragedia

Un momento dei soccorsi durante le inondazioni in Emilia Romagna

Con una aggravante particolarmente pericolosa. Le grandi emergenze del fuoco e dell’acqua isolano le persone che ne sono vittime. Quando arriva un incendio tutti sono costretti a salvarsi da soli. E spesso proprio perché sono soli non si salvano. Lo stesso per le grandi inondazioni. I salvati e i salvatori si incontrano da soli. Mentre la guerra è uno scontro tra eserciti e un confronto di forze comuni, compresa quella della tecnologia, la guerra con la natura resta, prevalentemente, un corpo a corpo. Se una certa forma di solidarietà esiste, si trova “a monte”, nell’organizzazione della società che coordina gli aiuti. Ma, alla fine, l’aiuto è sempre drammaticamente centellinato. 

L’intrusa non desiderata: la morte

La devastazione della natura rimanda alle grandi solitudini dell’uomo

Forse è un po’ strampalato il confronto. Forse. Mi viene in mente, tanto per esagerare, la morte. Quando muoio, posso godere di tutta la possibile assistenza medica, posso essere circondato da tutti gli affetti possibili (cosa, peraltro, sempre più difficile) ma, alla fine, il confronto con la grande intrusa è un corpo a corpo fra lei e me. Ed è un corpo a corpo di cui si sa, invariabilmente, il risultato. 

Nelle grandi emergenze climatiche il risultato, per fortuna, non è scontato. Può anche andar bene. Ma non è sicuro. E questa incertezza getta un’inquietudine drammatica su chi è chiamato ad affrontarle. Nella violenza dei nubifragi, nelle dimensioni inattese della grandine, nelle dimensioni “infernali” degli incendi, nella tragica insistenza con cui i fenomeni si ripetono c’è qualcosa di tragico, contro cui “non c’è nulla da fare”. O quasi: si deve soltanto subire. Per questo i fenomeni drammatici, anche quando passano e ci lasciano vivere ancora, si fanno sentire non tanto nella bocca, ma nell’anima, uno strano sapore di morte. 

Leggiamo siti, giornali e vediamo telegironali. Siamo felici di essere scampati. Ma temiamo di doverci ricascare. 

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