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Yayoi Kusama a Palazzo della Ragione

La mostra “infinito presente” al Palazzo della Ragione, Bergamo

La mostra “Infinito presente” con l’installazione di Yayoi Kasuma “Fireflies on the Water” (Lucciose sull’acqua), in prestito esclusivo del Whitney Museum di New York, conclude Bergamo – Brescia Capitale della Cultura 2023 presentando una mitica figura dell’arte contemporanea. L’iniziativa sta sollevando un grande interesse mediatico e sulla Corsarola penzolano “pois” colorati.

Parabola di una generazione

Da protagonista della contro cultura anni ‘60 a musa ispiratrice di Louis Vuitton
Yayoi Kasuma ha una storia personale e artistica assolutamente originale. La sua arte sublima un disagio psichico, attacca “la roccaforte del patriarcato”, cura i conflitti di ogni genere – da quelli interiori alle guerre, smonta l’idolatria dell’”IO”, crea strumenti per l’emancipazione della donna e la convivenza nelle diversità; diventa moda.

Tutto comincia con i “pallini”:
(precisazioni su punti, pallini, sfere, “pois”)

Il punto è un concetto primitivo. Punti, macchie, “pallini” sono elementi costanti nelle varie culture. In passato le macchie rimandavano a malattia: lebbra, sifilide, vaiolo; solo negli anni cinquanta del novecento diventano i “pois” per stoffe alla moda. Nella pittura di Seurat i puntini cercavano di catturare la luce; oggi sono i pixel che costruiscono le immagini digitali.

La cifra stilistica di Kasuma è la proliferazione compulsiva di un motivo puntiforme. 
Il punto è elemento problematico della mente e della cultura; entità astratta per eccellenza – invisibile, intangibile – organizza lo spazio e lo rende abitabile bloccando il fluttuare nel vuoto, nell’indefinito.
Il punto nella storia di Kasuma è energia vitale, diventa “pallino” (non solo della mente), poi sfera come nucleo che rimanda all’enigma del cosmo: punti coloratissimi si affolleranno per più di sessant’anni in tutto il suo universo creativo: sul suo corpo, su oggetti, su luoghi e persone.

Storia di un disagio psichico 

Yayoi Kasuma nasce in Giappone nel 1929 in un’agita famiglia rigidamente tradizionalista che gestisce un importante vivaio di sementi (semi, punti di esplosione di vita); padre assente e donnaiolo, madre incombente. La madre la costringe a spiare i tradimenti coniugali del padre e si oppone violentemente al suo voler diventare artista; distrugge i suoi disegni prima che possa finirli. Yayoi inizia ad avere allucinazioni visive e uditive; il disegno diventa una terapia contro l’ansia e i pallini la cosa più veloce che possa disegnare.  
A dieci anni disegna il ritratto della madre coprendolo di cerchi e punti ripetuti ossessivamente. I pallini sono l’esplosione della sua identità, l’affermazione della sua presenza: disegnarli è una cura contro la paura.

Yayoi Kasuma
Ritratto della madre, 1939 – matita

«…un pois ha la forma del sole, che è un simbolo dell’energia del mondo intero e della nostra vita, e anche la forma della luna, che è calma. Rotonda, morbida, colorata, insensata e inconsapevole. I pois diventano movimento… I pois sono una via verso l’infinito

Proprio da quel momento Kasuma inizia a ribellarsi, sognando di abbandonare il Giappone non appena ne avesse avuto possibilità.
Nel 1958 si trasferisce a New York; entra in contatto con i movimenti d’avanguardia e, in particolare, donne artiste “proto femministe”. Declina i segni della sua nevrosi ossessivo compulsiva in opere contro il patriarcato e la guerra in Vietnam, per la libertà e l’emancipazione sessuale, la tolleranza e l’inclusione. Viene considerata rivoluzionaria e subisce vari arresti, ma ha grande seguito tra i giovani: i pallini diventano la sua firma.
Nel 1966, senza invito, irrompe alla Biennale di Venezia (con l’aiuto di Lucio Fontana) con millecinquecento sfere (pallini) specchianti; le butta in laguna e le dona ai passanti per invitarli a guardare il mondo oltre il proprio io riflesso. Intitola il tutto “Giardino di Narciso”, in altre parole: “Non annegare nella tua immagine, guarda oltre…”.
I suoi pallini diventano veicoli che cercano e restituiscono coscienza.

Alla Biennale del ‘93 invece sarà lei a rappresentare ufficialmente l’arte del Giappone.
Dopo aver ottenuto fama mondiale, disturbata dal successo, nel 1973 torna in Giappone; nel ’77 si ricovera spontaneamente in un istituto psichiatrico dove tutt’ora vive e continua a lavorare.
Nel 2012 inizia la collaborazione (rinnovata nel 2022) con la “mitica” casa di moda Louis Vuitton: i pallini diventano “pois”.

La lotta al potere patriarcale

Traumatizzata dagli eventi relativi alla figura di suo padre, Yayoi subisce la fobia del sesso. A contatto con le prime artiste femministe matura l’idea che l’emancipazione della donna passi per la parodia della virilità fallica e affronta l’icona archetipa della genitalità maschile moltiplicandola in modo beffardo. I suoi pallini si gonfiano in morbide protuberanze falliche che coprono oggetti comuni come una poltrona – luogo del maschio che legge il giornale estraniandosi dalle dinamiche domestiche. Compone installazioni e disorientanti sculture falliche dove la virilità viene snaturata, svuotata di carica erotica, di potenziale aggressività; esorcizzando i suoi traumi demolisce idoli e propone nuovi sguardi per quella cultura oggi detta “di genere”; suggerisce una strategia di contrasto alla violenza del potere.

La cura dei conflitti

Yayoi definisce la propria ossessione per i puntini “auto-obliterazione” che significa cancellazione del sé in un’esplosione dell’io che si fonde col mondo. Potenziando i meccanismi percettivi l’alienità diventa alterità e la sua giocosa follia diventa invito a guardare il mondo, incontro con l’altro diverso da sé, interconnessione tra persona e infinito; annulla la distinzione che impedisce di sentirsi come parte di un tutto.
Dice Yayoi “Io converto l’energia della vita nei punti dell’universo” per contrastare ogni negatività del mondo. 

Oltre l’idolatria dell’ “IO”

Per Yayoi l’ ”EGO” è la causa dell’orrore, delle sopraffazioni e delle guerre; per neutralizzarlo simbolicamente dipinge “pois” sui corpi; per contrastarlo costruisce “stanze dell’infinito” dove ripropone, sublimata in bellezza, la propria  risposta alle angosce.

Nella stanza di “Infinito presente” entra una persona alla volta e resta solo un minuto: é proposta d’incontro con il tempo e lo spazio, è invito ad esplodere in “un’auto obliterazione”, è una soffusa sollecitazione verso l’empatia con il mondo e l’empatia è il miglior antidoto all’angoscia e alla violenza, oltre il mito mortifero di Narciso.

Una stanza chiusa per aprirsi al mondo.                                                                                                                                                                                             

Osvaldo Roncelli

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