Ci sta di fronte lo spazio gremito, saturo, soffocante, dell’Andata al Calvario di Bruegel. Il quadro è di soli 124 x 170 cm.
Appare, da questa scena, un verdetto implacabile: Cristo non redime. La via del Calvario procede verso il nulla. Qui non si vede neppure, il Calvario.
Le 500 figure che fanno da cornice, sciamano verso un punto lontano. Sono ben visibili in primo piano solo le pie donne con Giovanni: i bei vestiti sembrano alludere alla liturgia che fa rivivere il Mistero, ma il gruppo è staccato da ciò che avviene.
Dov’è Gesù? Bisogna tracciare le diagonali del quadro per individuarlo. Lo trovi al centro, caduto sotto il peso della croce. È insignificante. A lui la gente non bada. Essa è venuta come a una gita di paese. C’è l’albero della cuccagna.
E c’è anche, lassù in alto a destra, un cerchio di gente che attende delle crocifissioni. Ma nessuno conosce la storia di Lui.
Non c’è ordine in questo andare; e questa vitalità è solo una febbrile agitazione di forme. Tutto si muove, ma nulla procede.
Giubbe rosse: sono soldati di un potere che opprimeva al tempo del pittore. Niente di nuovo nella storia dell’uomo.
Rispetto alla Natura l’uomo sembra un’escrescenza insignificante. Ognuno si agita, prigioniero del suo corpo, prigioniero del tempo.
Il Cristo è perduto. E ancora più perduti gli uomini che gli fanno corona.
La contemplazione di questo quadro spaventa: sembriamo affacciati a un eterno Venerdì Santo.
E questo ci spinge a voler fare un passo indietro, a voler rivedere il quadro del Tintoretto, quello della Cena.
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