
Tintoretto, Ultima cena, 1592-1594, Venezia, San Giorgio Maggiore
In Tintoretto è la luce a distribuire tutte le parti del dramma in questa Ultima Cena che è tra le sue ultime opere.
Questa luce fa lievitare tutto e tutti, e raccoglie i corpi nell’attenzione verso quel gesto che tiene il centro della scena: le mani del Cristo giunte nell’offerta del Pane, nel dono del Suo corpo.
Questa luce nasce da due fonti: dalla lampada in alto a sinistra e dal Cristo, dal Suo Dono. C’è un confine fra luce e ombra. Questo confine è l’Eucarestia.
L’ora è venuta. Ma il tempo del dolore destinato a sopraggiungere è anche il tempo dell’amore. Un amore che circola tra gli uomini come quella luce: tenue, sottile, eppure irriducibile confine della vita.
Questa Cena è l’ultimo raduno, a lungo desiderato dal Cristo, come gesto ricapitolativo di tutto. Qui Egli abbraccia la sua ultima ora, prima del Getsemani.
Tutti, dentro la sala, fremono e commentano tra loro l’evento.
Il Cristo resta solo, in completa concentrazione del suo farsi dono.
È il dono di sé stesso che introduce e anticipa la Passione. Nell’Eucarestia la parola si fa carne e sangue.
È Gesù che fonda il suo nuovo patto. È Gesù che si offre, si consegna al Padre e a noi.
I discepoli che hanno accompagnato Gesù fino a quel momento, da quel momento saranno dispersi.
Ma poiché hanno mangiato e bevuto Lui, come colui che si dona, saranno con Lui trasportati al di là del confine.
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