Nella chiesa di Santo Spirito per il periodo quaresimale al centro della navata è allestito il “Compianto sulla morte di Gesù” di Agostino Ghilardi (scultore cremonese – classe 1954).
Otto statue a grandezza naturale, nel naturale colore della terracotta, mettono in scena il “compianto.” Cristo morto, steso sul nudo pavimento, è circondato da un “coro” di figure – la Madre, il discepolo, tre amici – colte nei differenti stati del dolore: muta rassegnazione, rammarico, condoglianza, disperazione.
Si tratta di un tema ripreso dalla tradizione dei teatri sacri dove la sacra rappresentazione, in particolare nella Settimana Santa, intendeva muovere le emozioni dei fedeli con empatico messaggio per la partecipazione emotiva alla Passione, in una orchestrazione di stati d’animo da tragedia greca.
Il “teatro devoto degli affetti” ha la sua più intensa rappresentazione nell’opera di Guido Mazzoni che negli ultimi anni del ‘400 allestisce compianti a Modena e a Napoli.
Per le devozioni, in particolare la preghiera collettiva promossa dalle confraternite nella Settimana Santa, il “compianto” figurato in statue a grandezza naturale, spesso colorate, ebbe grande diffussione per più tre secoli, anche nelle chiese delle nostre valli per mano dei maestri della bottega Fantoni.
Agostino Gilardi, riprende la tradizione, rielabora il tema antico e dà forme contemporanee ai figuranti di Guido Mazzoni.
Ugo Riva (bergamasco – classe 1951) elabora un tema analogo negli stranianti momenti di “confinamneto” pandemico e, affascinato da Rosso Fiorentio, precisamnete 500 anni dopo, dà forme contemporaneee alla “Deposizione di Volterra”.
Lavora al suo compianto e lo intitola “Perchè mi hai abbandonato?”. Vuole esprimere stordimento, angoscia, desolazione in forme diverse per cercare nuova autenticità, prossima alle traversie dei tempi correnti: per questo guarda a Rosso Fiorentino che a suo tempo sconvolse le forme della deposizione dalla croce in spazi lividi scanditi da scale, nell’ affaccendarsi acrobatico intorno alla morte, con emozioni che deformano volti che ai contemporanei parvero “…più di diavoli che di santi!”.
Ugo Riva plasma un anti monumento privo di diretti riferimenti al Calvario; il piedestallo occupa meno di un metro quadro; è una landa desolata appena scossa da un terremoto, connessa da graffe di ferro simili alle suture di una lacerazione. Incombe la solitudine: di una terra avvelenata, di un esile albero, di ciascuno chiuso nel proprio dolore.
Quattro figure di donne, rese con struggenti colori pastello, intrecciano una danza tragica introno al un corpo martoriato e contorto; è un corpo eroico, ma anonimo, che evoca drammi di morti senza commiato, di corpi insepolti lacerati da guerre e attentati suicidi, di relitti umani restituiti dal mare.
Il corpo compianto è Cristo che assume in sé i travagli delle nostre vicende, dilatato nella storia contemporanea oltre la sera della vigilia del sabato.
Forse l’albero fiorirà e i colori prenderanno luce.
L’opera, come ammonimento a non dimenticare – non più solo lunghe settimane di passione – è stata esposta alla Fondazione Credito Bergamasco nella scorsa tarda primavera.
Leggi anche: