Antigone e la giustizia ingiusta

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Storia di un dipinto che rinasce.
Un restauro “miracoloso” tra alterne ideologie e linguaggi

 

Quale linguaggio per raccontare la ribellione morale contro la tirannide?

La grande tela fu Commissionata a Giuseppe Diotti dai Rettori dell’Accademia Carrara nel 1834 perché restasse perenne memoria del benemerito maestro, direttore della scuola dal 1811. Il dipinto doveva rappresentare l’eredità didattica di Diotti all’Accademia Carrara come “monumento” alla memoria del suo primo direttore.

La scelta del tema matura nell’ambito del conflittale confronto tra l’emergente sensibilità romantica e il consolidato linguaggio classicista. Diotti presenta un bozzetto con il “…celebre congresso lombardo di Pontida”. Il soggetto non viene ritenuto opportuno per un quadro “…ch’esser dovea esemplare di studio a fervida e immaginosa gioventù… non vi campeggiavano vive e forti passioni”.

Diotti propone allora i fatti di Antigone, “…quando tratta violentemente a morte, si angoscia per l’esilio della fida sua compagna, da cui viene per forza divisa…”.  Secondo la narrazione di Vittorio Alfieri, ripresa da Sofocle.

La proposta viene accolta suscitando polemiche perché conferma le scelte conservatrici dei gestori dell’Accademia bergamasca.

Giuseppe Diotti – Antigone condannata a morte da Creonte, 1837 Cartone preparatorio – Accademia Tadini , Lovere

Diotti consegna il cartone preparatorio nella primavera del 1837.

I protagonisti della storia sono Creonte, tiranno usurpatore, Antigone e la cognata Argia.  L’antefatto è la lotta di Polinice, fratello di Antigone e sposo di Argia, contro Creonte. Nella lotta Polinice muore e Creonte ne vieta la sepoltura, ma Antigone, trasgredendo gli iniqui ordini, seppellisce il fratello.

Diotti nella sua messa in scena rappresenta l’epilogo della tragedia: Argia cade svenuta nell’apprendere la condanna a morte per Antigone; stringe al petto il vasetto con le ceneri del marito Polinice, mentre Antigone si avvia ad essere sepolta viva sotto il minaccioso gesto di Creonte.

Saranno necessari otto anni per portare a termine la monumentale tela. Nelle lunga gestazione, l’anziano artista sembra combattuto tra il romantico cedere a linguaggi più aggiornati, con la ”facilità di schizzare”. Oppure, al contrario “copiare la natura quale si trova” nei  tre momenti elaborativi del linguaggio neo classico: imitazione, idealizzazione  e ricerca del sublime.

Diotti, oltre ogni titubanza, resta fedele all’idealizzazione della classicità e costruisce la scena sul modulo del fregio greco romano, con gesti da melodramma e sfondo simbolico come una scenografia, non un paesaggio (che l’autore affiderà al pennello dell’amico Pietro Ronzoni).

Tutto questo nel 1845 appariva ai più largamente superato.

Travagliate fortune

Negli accordi contrattuali con i Rettori della Carrara, il dipinto avrebbe dovuto essere inviato all’annuale esposizione milanese a Brera. Nonostante le ampie espressioni elogiative, il dipinto a Brera non arriverà mai. Si addussero, date le dimensioni, difficoltà di trasporto e malintesi sull’ostensione. Ma è più plausibile che un dipinto di genere assolutamente classicista destasse perplessità e imbarazzo a Bergamo come a Milano.

Il 30 gennaio 1846 Diotti muore a Casalmaggiore, aveva 67 anni.

“Notizie patrie” del 1867 riporta:

Nella sala grande dell’Accademia Carrara pende una gran tela del professor Diotti, L’Antigone. Quel grande quadro, che non è neppure dei meglio riusciti dall’egregio maestro, stona in mezzo a dipinti antichi. E’ necessario che si pensi a collocarlo in luogo, in cui egli non nuoccia agli altri, né gli altri a lui.”

L’Antigone nel 1873 è però il dipinto più quotato dell’Accademia Carrara. E’ assicurato per lire 8.000, contro Lire 3.500 per la pala Bonghi di Lotto e lire 2.000 per la Madonna di Mantegna. Resta esposto e figura nei cataloghi del 1912 e del 1930, ma poi se ne perdono notizie certe.

Nel 1976 viene riconosciuta, pressoché distrutta, dal nuovo direttore della Carrara, finita arrotolata in un deposito, probabilmente rimossa durante la guerra ed esclusa dai successivi riordini della pinacoteca.

L’opera risulta talmente degradata da essere considerata ormai perduta.

I diversi successivi restauri

1976 – Le condizioni della tela dell’Antigone al momento del riconoscimento

1991 – Il primo restauro

Nel 1991, sperando in un potenziale parziale recupero, inizia il restauro della tela a cura di Bruno Sesti e Delfina Fagnani.

1992 – La prima fase di srotolamento (dalla relazione di restauro Sesti e Fagnani)

 

 

 

 

 

 

 

1991- La tela srotolata durante l’operazione di velinatura  e fissaggio (dalla relazione di restauro Sesti e Fagnani)

 

 

1992- L’Antigone a restauro concluso (dalla relazione di restauro Sesti e Fagnani) 

 

Il restauro, dopo due anni di lavoro, paziente, competente, appassionato, ha un esito insperato.

Viene per il momento deciso di lasciare piena visibilità alle ampie lacune della parte sinistra del dipinto, la più pesantemente deteriorata, perché più esterna nell’arrotolamento e quindi più esposta agli agenti esterni. La scelta, forse per motivi operativi, presenta anche rimandi simbolici: memoria e oblio, contingenza di valori, capricci di mode, vittoria sul tempo….

2021 – Trent’anni dopo – Il secondo restauro

il restauro si conclude idealmente soltanto oggi grazie all’intervento realizzato di nuovo da Delfina Fagnani che, con il recupero pittorico parziale delle perdite di colore, ripristina le lacune lasciate esposte dal primo restauro e restituisce alla Città un pezzo della sua storia.

Non è solo un restauro, è una vittoria sulla corrosione del tempo e un riscatto dall’oblio.

Antigone “giustiziera della giustizia ingiusta”

Le vicende di questo dipinto dovrebbero suggerire un cauto relativismo nel considerare arte e culture.

Oltre linguaggi, mode, valori che fluttuano nella storia, interpretazioni e “messe in scena” – da Sofocle ad Alfieri, da Diotti alle stupefacenti tecniche di restauro – quello che resta fermo nel tempo è il messaggio di Antigone: prima la coscienza.

 

 

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