E’ stato rappresentato nei giorni scorso, al Teatro Donizetti, uno spettacolo molto bello e coinvolgente, applauditissimo: “Moby Dick alla prova”, scritto da Orson Welles negli anni ’50. Si tratta di una serrata e magistrale sintesi del famoso romanzo di Melville, con attori davvero bravi (Elio De Capitani e la sua compagnia del teatro dell’Elfo) e parti cantate, che restituiscono allo spettatore il duro lavoro dei marinai, il loro remare, la loro fatica, suscitando impressioni profonde.
Il palco, composto da duri tavolacci di legno, è dominato da un fondale enorme, eppure leggero come i teli che lo avvolgono, cangianti e mutevoli, in grado di evocare le onde dell’oceano e la presenza incombente del capodoglio.
Si ha così la sensazione di essere a bordo della baleniera, di respirarne l’aria e il clima, contagiati quasi dall’ossessione del capitano Achab, che va a caccia, non già di balene, ma di un solo esemplare, un fantasma, il leviatano: il capodoglio tutto bianco che anni prima lo ha reso storpio staccandogli una gamba. Un personaggio oscuro e tormentato, quello di Achab, dall’ostinazione irredimibile fino all’ultimo istante, personificazione del lato oscuro dell’uomo, lato che si trova comunque nel cuore di tutti noi.
Ma davvero siamo tutti – almeno un po’- degli Achab?
L’installazione nel foyer, fatta in gran parte di disegni e fumetti, che è associata allo spettacolo, risponde in modo affermativo: racconta infatti noi umani come una specie che trova conveniente per i propri interessi economici la distruzione di capodogli, di balene, appunto, ma anche di ogni altro organismo – persino dei propri simili – e della natura stessa. Una specie contro gli altri e contro se stessa: “Umanità contro”, dunque, come dice il titolo.
Ma come sono davvero, come vivono, questi mostri marini, enormi e insieme aggraziati?
Mi sono incuriosita e documentata e ho fatto interessanti scoperte: meravigliosi come tutte le creature, sono prima di tutto molto intelligenti, gentili, longevi e privi di predatori, per le loro notevoli dimensioni. Si scambiano messaggi, variandone la frequenza per non interferire con quelli di altre balene, usando persino la sintassi e trasmettendo oralmente la conoscenza tra gruppi, il nome di se stessi (!), con dialetti diversi tra gruppi della stessa specie.
Cantano in modo suggestivo durante l’accoppiamento e la migrazione, modulando i canti stessi in base alla distanza che vogliono coprire. Maschi e femmine si coordinano per guidare il gruppo. Cercano acque calde e sicure per partorire i figli, che sono inizialmente privi dello strato protettore di grasso. Le neo – mamme vengono aiutate da “nonne” e “zie”che trasmettono loro insegnamenti, oralmente e attraverso l’imitazione. Possono anche adottare piccoli rimasti orfani.
I legami dei grandi mammiferi e gli uomini. Spunti dalla “Laudato sì” di Papa Francesco
Nei vari gruppi si creano poi alleanze basate su legami affettivi, ma anche per salire di livello nella scala del potere.
Ricercate e uccise per la carne, ma soprattutto per l’olio e le stecche (ricavate dai fanoni), dal 23 luglio 1982 le balene sono una specie protetta. Se questa regolamentazione permette loro il ritorno negli habitat naturali, ora tuttavia nuove sfide le attendono: lo scioglimento dei ghiacciai per il riscaldamento globale, l’aumento del traffico navale, la montagna di plastica che inquina ormai le acque, le nuove rotte nell’Artico.
E pensare che le balene possono contribuire alla riduzione dell’anidride carbonica atmosferica, più degli alberi, sequestrando grandi quantità di carbonio sul fondo del mare …
La natura, oltre che essere meravigliosa… può venirci in aiuto… se la rispettassimo!
Penso allora all’enciclica “Laudato sì” del 2015 di papa Francesco, che mette l’uomo di fronte alle sue responsabilità: “La terra è ferita. Serve una conversione ecologica”.
Inoltre “un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei popoli”
Perché ”ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo”.
E infine un invito a saper contemplare il mistero ”in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero”.