Ma di questo accennerò dopo: ora veniamo all’allestimento, bello ed elegante, dove si respira, da parte degli organizzatori, l’amore per la storia di Lovere, e per i personaggi che le hanno dato lustro. Cesare Tallone è stato uno di questi: amico di famiglie importanti del posto (soprattutto gli Zitti), ha lasciato molte tele che ne ritraggono le figure, rappresentando così la società loverese di fine ‘800, in anni fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese.
Savonese, nato nel 1853, alla morte del padre, militare di professione, si trasferisce ad Alessandria. Per le sue notevoli capacità artistiche, viene ammesso all’Accademia di Brera, mentre insegna alla scuola popolare gratuita di Bergamo Alta.
Dopo il matrimonio con Eleonora Tango, poetessa, che gli darà ben 9 figli, diventa direttore dell’Accademia Carrara di Bergamo, sostituendo Enrico Scuri. Buon marito e padre affettuoso, giovane e affabile, è subito amato dagli studenti che ne festeggiano l’arrivo in modo anche troppo vivace, ad esempio distruggendo, nella foga, alcuni cartoni preparatori lasciati dallo Scuri: ne nasce uno scandalo, con tanto di strascichi giudiziari, ma senza gravi conseguenze per i responsabili.
Tallone non è certo un rivoluzionario, nonostante le sue idee aperte e il linguaggio artistico moderno, eppure nella Carrara di allora è portatore di grande novità.
Michelangelo da Caravaggio e Velazquez sono i suoi autori preferiti, per la loro potenza plastica: agli allievi Tallone insegna perciò i principi classici, uniti tuttavia ai precetti contemporanei, lasciandoli al contempo liberi di esprimersi, guardando alle innovazioni di quegli anni, ciascuno secondo la propria sensibilità. (Il suo migliore allievo “bergamasco” è stato Giuseppe Pellizza da Volpedo).
Di idee quantomeno vicine al socialismo, apre nel 1897 una scuola di pittura femminile nella sua residenza di palazzo Suardi, dal momento che l’accesso all’Accademia Carrara era interdetto alle donne.
Nel 1899 vince la Cattedra di Pittura all’Accademia di Brera, ruolo che terrà fino a poco prima della morte. Ada Negri, Sibilla Aleramo, Margherita Sarfatti, Gabriele D’Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti e altri nomi importanti sono spesso suoi ospiti. Ma con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, partono per il fronte 4 dei suoi figli maschi e molti allievi: la sua salute subirà allora un vero tracollo , anche se egli prosegue l’attività artistica fino al marzo 1919. Morirà a giugno di quello stesso anno.
Si colloca intorno al 1890 l’incontro di Tallone con Lovere, grazie all’amicizia con Gian Battista Zitti, ricco industriale ed ex garibaldino, che ospiterà il pittore a villa “Caprera” a Bossico.
A Lovere in quel tempo c’era una società moderna e attiva (bassa, ad esempio, la percentuale di analfabetismo nella zona e molti gli occupati), aperta alla modernità. Con i suoi dipinti, in un racconto fatto di materia e colore,Tallone ci dà così un’importante testimonianza dei valori familiari e delle relazioni sociali che animavano la società tra Bergamo e Lovere alla fine dell’800.
Grande ritrattista, sa rendere sulla tela con verismo e realismo la cultura e il gusto delle classi più abbienti. Spesso aiutandosi con la nascente fotografia, che fa risparmiare ai soggetti ritratti le lunghe pose dal vivo. Ma, a differenza degli scatti fotografici, la sua arte sa cogliere la psicologia dei soggetti, sa catturarne l’essenza e l’espressione dell’anima. L’artista si concentra infatti sul volto, lasciando indefiniti gli altri particolari, per l’influenza, forse, dei nuovi movimenti artistici: soprattutto negli sfondi la materia si fa molto magmatica, richiamandosi alla Scapigliatura.
L’eleganza delle pose si coglie specialmente nei dipinti femminili che impreziosiscono l’esposizione, attraverso i quali si possono notare i particolari dell’abbigliamento, mentre le donne raffigurate non sono più icone, ma testimoniano il cambiamento di una società che si va modernizzando.
Infine, i paesaggi lacustri della zona, fatti di pennellate rapide, sciolte, e graduali passaggi tonali. Vi si nota una grande attenzione alle variazioni luminose e cromatiche della natura e subito si pensa ai Macchiai che dipingevano en plein air.
Strano, perché in casa dell’ultima figlia Ponina – e della nipote Aurora – ho visto un unico quadro del padre: un paesaggio montano molto scuro e cupo.
Vi ero approdata tanti anni fa, quando avevo bisogno di qualcuno che mi battesse la tesi (non c’erano i Pc, allora) e l’avevo trovato in Aurora, appunto.
L’incontro con le due è stato davvero indimenticabile: anzitutto si volevano un gran bene e si chiamavano da una stanza all’altra con un allegro “uh uh”, mentre amavano e nutrivano senza riserve una schiera di gatti. Povere (vivevano solo della aleatoria vendita dei quadri di Ponina, anche lei pittrice), per questi gatti c’erano sempre crocchette e piccoli giochi comperati. Loro si vestivano invece con gli abiti degli aiuti americani, ma spesso mi invitavano a pranzo (e che pranzetti!) e organizzavano feste con gli amici.
Mi piaceva in particolare Ponina, allora 70enne. Esile, voce sottile, capelli d’argento, quando usciva sempre nascosti da un cappellino, una vena specialissima di umorismo, sapienza e intelligenza. Enorme dignità . Precoce pianista, dalle esecuzioni stupefacenti, il marito (Franco Ciliberti, filosofo) non le ha mai permesso di esibirsi in pubblico. Alla sua morte, per non morire di fame, Ponina inizia a disegnare: userà sempre e solo la carta, la matita e il bianco e nero, con stile preciso, meditato e sintetico, eppure molto lirico e poetico. Ne nasceranno paesaggi dagli orizzonti spogli con il contrappunto di una pianta solitaria o di una cabina (come il quadro che le ho comperato), o colline che morbidamente sfumano nella bruma.
Di Cesare Pavese, con cui era stata “fidanzata”, del padre, dei suoi numerosi fratelli (che di lei non si curavano) non ha mai fatto cenno. Una vera signora