don Don Lorenzo Milani: maestro di fede, di vita, di cultura e di pace

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don Don Lorenzo Milani: maestro di fede, di vita, di cultura e di pace

Cosa mai poteva venire da una manciata di povere case abbarbicate sull’appennino toscano? E invece le sorprese della storia nascono anche da un’anonima canonica sperduta tra i monti, se il prete si chiama don Lorenzo Milani. Lo scorso 27 giugno sono stati trent’anni dalla morte del priore di Barbiana, la cui opera di educatore è oggi conosciuta in tutta Europa

Ed è incredibile come un angolo del mondo sia diventato coscienza critica di questo mondo: delle istituzioni militari, scolastiche ed ecclesiali. Per capire come è potuto accadere questo miracolo della storia, proviamo a seguire le tracce di don Lorenzo.

La famiglia, la conversione, il seminario

Nasce a Firenze il 27 maggio 1923 da famiglia facoltosa e di grande cultura liberale. Il bisnonno fu senatore, il nonno docente universitario, il padre dirigente d’azienda e studioso di letteratura e musica, la madre, di origine ebrea, fu allieva di James Joyce. “La casa – scrive Mario Pancera – era una fucina di cultura. I libri non venivano letti, ma sezionati: le pagine distillate, i concetti più volte rivoltati e discussi, le parole riportate alle loro origini e seguite in tutte le loro trasformazioni”. Questa immagine di casa Milani spiega le radici dell’inconfondibile stile che emergerà nella scrittura di don Lorenzo, soprattutto nella scuola di Barbiana.

Nel 1933 i coniugi Milani celebrano il matrimonio cattolico, battezzano i figli e aggiungono il cognome Comparetti per sfuggire alle persecuzioni antisemite. Lorenzo andò a Milano: prese il diploma al Liceo Berchet e si iscrisse all’Accademia di Brera, frequentando anche lo studio di Le Corbusier in Francia. Ritornato a Firenze in famiglia incontro don Raffaele Bensi, che guidò la sua conversione: a vent’anni ricevette la Cresima ed entrò in Seminario.

All’inizio si adeguò con scrupolo ed entusiasmo all’ambiente e alle regole del Seminario. In seguito, si manifestò la coscienza critica che ha caratterizzato così fortemente don Lorenzo. Parlerà della “frode del Seminario”, poiché attua lo sradicamento dei più dalla loro cultura contadina e l’innesto forzato di una cultura borghese lontana dalla realtà della gente comune. Si sentono qui suonare le note dominanti del messaggio di don Milani:

Abbiamo speso 12 anni della nostra vita per farci il linguaggio di coloro che (…) sono i meno cari al Signore e numericamente una parte insignificante del nostro popolo. E intanto ci siamo persi la capacità di parlare un linguaggio comprensibile e utile ai prediletti di Dio – prediletti perché poveri e perché lontani – 81,3% del nostro gregge.

Ecco un esempio della capacità espressiva e critica di don Lorenzo: il rigore logico (si noti la precisione della percentuale!), la fortissima motivazione religiosa, la centralità del linguaggio, la capacità sintetica di esprimere con impressionante chiarezza concetti fondamentali (spesso anticonformisti) in una sola frase.

Prete. Prime esperienze di scuola popolare

Ordinato prete nel 1947, venne nominato coadiutore di don Daniele Pugi, il vecchio parroco di S. Donato di Calenzano, che gli lasciò molta libertà d’iniziativa. Qui iniziò la sua esperienza di scuola con la gente:

In sette anni di scuola popolare – scriverà in Esperienze pastorali – non ho mai giudicato che ci fosse bisogno di farci anche dottrina (…). Quando ci si affanna a cercare apposta l’occasione di infilar la fede nei discorsi, si mostra di averne poca, di pensare che la fede sia qualcosa di artificiale aggiunto alla vita e non invece modo di vivere e di pensare.

Don Milani, mosso da profonda motivazione evangelica, sceglie il metodo della “laicità” per coerenza di fede. E seguirà ancor di più questa impostazione quando, nel 1954, alla morte del suo parroco, viene “confinato” a S. Andrea di Barbiana del Mugello, una parrocchia di poche decine d’anime, senza acqua corrente, elettricità e strada carrozzabile per arrivarci. Ma, come sappiamo, quella “chiesa e case sparse tra i boschi e i campi”, per un “gioco della Provvidenza”, sono diventati un simbolo e una fonte di significato per tanti credenti e non.

“Fai conto – scrive don Lorenzo da Barbiana per bocca di un immaginario prete di montagna – che qui io mi trovi in un istituto pieno di sordomuti non ancora istruiti. Che ne diresti se pretendessi di evangelizzarli senza aver dato prima loro la parola? I missionari dei sordomuti non fanno così. Fanno scuola della parola per anni e poi dottrina poche ore. E il loro agire è logico, obbligato, perfettamente sacerdotale”. La passione di maestro che nasce dalla sua vocazione religiosa.

Barbiana. “Dare la parola ai poveri”

Con queste premesse inizia la scuola di Barbiana, dove don Milani non cerca tanto di trasmettere contenuti per “dare una cultura ai poveri”, quanto piuttosto di “dare la parola ai poveri”, fornendo “solo il materiale tecnico (linguistico, lessicale e logico) che occorre per fabbricarsi una cultura nuova”, diversa da quella dei ricchi. Si utilizzano anche gli strumenti della cultura classica, ma l’attenzione viene portata sui fatti raccontati dai giornali o sulle esperienze di vita concreta.

Nella scuola di Barbiana allievi e maestro raccolgono le “provocazioni” della realtà: si discute del contratto dei metalmeccanici, del pronunciamento dei cappellani militari e della bocciatura di un compagno nella scuola pubblica. Ma una scuola che voglia assolvere fino in fondo il proprio compito educativo, non può rimanere passiva, distaccata osservatrice di ciò che accade: scolari e maestro scrivono insieme e intervengono nei fatti con lettere e documenti che a tutt’oggi ci fanno meravigliare per la razionalità e l’incisività delle argomentazioni.

Don Lorenzo, in questo modo, “non si sente più la guida, colui che trascina la gente verso la meta; egli è divenuto il lievito della sua comunità, colui che scopre e fa emergere i doni e le ricchezze che nessuno fino ad ora era stato capace di trovare” (Francesco Milanese). Ciò non vuol dire mettere tra parentesi la funzione di maestro, ma al contrario coglierla nel significato più pieno: è un maestro colui che indica la via e aiuta a percorrerla, non chi si pone davanti e intima di seguirlo. Lo si capisce bene rileggendo gli scritti della scuola di Barbiana: “Io sono un ragazzo influenzato dal maestro e me ne vanto. Se ne vanta anche lui. Sennò la scuola in che consiste?” (Lettera a una professoressa).

Amore e responsabilità

Il senso e l’obiettivo dell’azione educativa di don Milani si possono riassumere in due parole: amore e responsabilità.

Amore:

Il desiderio d’esprimere il nostro pensiero e di capire il pensiero altrui è l’amore. (…) Per cui esser maestro, esser sacerdote, essere cristiano, essere artista, essere amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.

E si può capire ora pienamente il senso di una significativa frase del Testamento spirituale che don Lorenzo ha lasciato ai suoi ragazzi: “Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto”.

Responsabilità:

Signori giudici – ha scritto nella famosa Lettera nel testo L’obbedienza non è più una virtù – vi spiegherò quanto mi stia a cuore imprimere nei miei ragazzi il senso della legge e il rispetto per i tribunali degli uomini (…), ma dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande ‘I care’, (…) ‘me ne importa, mi sta a cuore’. È il contrario esatto del motto fascista ‘me ne frego’.

“Il maestro deve essere profeta”

Il 26 giugno 1967, a soli 44 anni, a causa di un morbo incurabile don Lorenzo morì a Firenze nella casa della madre e volle essere sepolto a Barbiana. Qualcuno l’ha definito un profeta, altri un santo. Tutti abbiamo contratto un debito con lui. Qualcuno, più di altri, deve ancora chiedergli scusa. La Chiesa perché il Santo Offizio nel 1958 ordinò il ritiro dal commercio e vietò la ristampa e le traduzioni di Esperienze pastorali. Lo Stato perché un tribunale ha condannato in appello la risposta (contenuta in L’obbedienza non è più una virtù) che don Lorenzo diede ai cappellani militari che avevano insultato gli obiettori di coscienza.

A noi piace ricordare don Lorenzo come maestro di vita che ha svolto al meglio il suo compito: “il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i ‘segni dei tempi’, indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso”.

                                                                                                    

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