Fin dalla sua inaugurazione nel 2001 il Museo Diocesano ha promosso, in genere nel periodo natalizio, “Capolavoro per Milano”, speciale esposizione di una singola opera d’arte di straordinaria importanza artistica e di intensa rilevanza religiosa.
Questa è la 14a edizione dell’iniziativa che ha visto nel corso degli anni arrivare a Milano, in prestito da importanti musei, opere di massimi esponenti della storia dell’arte. La particolarità dell’iniziativa sta nel presentare, con allestimento suggestivo, una sola opera, per sollecitare attenzione e sguardo attento ai temi che propone.
Il capolavoro per il 2022 è la predella della pala Oddi in prestito dai Musei Vaticani.
La Pala Oddi, che segna l’inizio dell’emancipazione di Raffaello, non ancora ventenne, dalla bottega del Perugino, viene commissionata da Maddalena degli Oddi nel 1502 per la chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. E’ composta dal grande dipinto raffigurante l’Incoronazione della Vergine e dalla predella scandita in tre scomparti con i momenti della Natività: Annuncio, Epifania, Circoncisione.
Il dipinto viene requisito dall’esercito francese nel 1797 e portato a Parigi. Nel 1815, grazie all’impegno di Antonio Canova, torna in Italia, ma non a Perugia: per volere di Pio VII resterà in Vaticano.
La pala risente delle impostazioni formali della scuola del Perugino per la rigida frattura in due pari e nelle macchinose disposizioni delle figure. Occhieggiano però anticipazioni di quella che sarà la matura poetica raffaellesca: la mano sinistra di Cristo in piena luce sulla campitura scura della veste; gli angioletti, in scorci acrobatici quelli in volo, tra il perplesso e il devoto, i due ai piedi di Maria e di Gesù.
Nei tre scomparti della predella invece si esprime compiutamente la genialità di un artista che elabora nuovi modi di vedere e il sentire di una cultura che caratterizzerà lungamente l’occidente.
Nell’Annunciazione Raffaello cita la Pala di Fano del maestro Perugino, ma la trasfigura con negli occhi la luce cristallina di Piero della Francesca nella pala presente a Perugia nel Convento di Sant’Antonio.
I Fatti straordinari dell’Incarnazione si svolgono in ambienti saturi di atmosfera con una luce che evoca i giorni più luminosi e sereni. La navata della basilica brunelleschiana si dilata in colline, vallate e montagne verso un infinito luminoso; non c’è confine tra natura e cultura, architetture dell’uomo e sedimentazioni geologiche. La luce irrompe nella costruzione dell’uomo, allontana ombre, dramma, conflitti e passioni.
Come se questo annuncio di salvezza, evocato da un cosmo rasserenato, fosse troppo moderno, o ambiguamente laico, sullo sfondo, quasi appiccicata, appare l’iconografia consolidata dalla tradizione: in cielo lievita la figura del Padre e lo Spirito in forma di colomba si dirige verso Maria.
I cavalli, in gran parte fuori scena, sono disposti su diagonali incrociate che portano il corteo dei Magi al punto di fuga prospettico che coincide con il tenerissimo Bambino.
Con dissonanze cromatiche e tecniche di prospettiva scientifica, Raffaello costruisce spazi dove gli sfondamenti virtuali coincido con i vertici del dogma.
Cristo versa il suo primo sangue sopra un altare di diaspro rosso, ”la prima pietra della Nuova Gerusalemme” (Ap 21, 19). La scena si svolge in un edificio che sembra un primo progetto per quella che sarà la nuova Basilica di San Pietro; la navata si espande su portici aperti. L’abside centrale è oscuro, aperto però da un oculo di luce che fa quasi da aureola al sommo sacerdote. Le superbe architetture offrono alla luce spazi per chiari riverberi.
Nella pittura di Raffaello gli spazi del quotidiano per accogliere “fatti straordinari” si dilatano su geometrie astratte, con ombre vinte da una luce nuova dove bellezza, conoscenza e saggezza stratificate nella storia dell’umanità si compendiano con la rivelazione di Cristo. Uomini, donne, piante, animali e luoghi sono immersi in un‘atmosfera serena dove non c’è spazio per alcun contrasto, né opposizione tra terra e cielo.
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