Una Chiesa prossima ventura

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C’era una volta una “Chiesa di popolo”, una Chiesa che sta fragorosamente finendo.
Utile tornare ai motivi che l’hanno fatta nascere.
Per capire come potrebbe essere la Chiesa del futuro

Oggi ci si chiede perché si resta nella Chiesa

Sto leggendo “Chiesa dove vai?” di Gisbert Greshake (editrice Queriniana. Lo studio, come lo stesso titolo suggerisce, cerca di capire la crisi che la Chiesa sta attraversando. Si sta affermando una situazione culturale per tanti versi strana. L’Autore osserva che nel passato l’eretico si sentiva in dovere di spiegare perché usciva dalla Chiesa. Oggi sul credente incombe in dovere di spiegare perché resta nella Chiesa. Dunque, la tradizione riteneva naturale restare nella Chiesa. L’attualità ritiene normale uscirne. 

Sta finendo quello che l’Autore definisce “chiesa di popolo”, una Chiesa, cioè, maggioritaria, fortemente compaginata con la società e che ha contribuito al mantenimento della stessa società e alla elaborazione di una cultura comune condivisa. Il processo è iniziato, secondo l’Autore, già nei primi secoli della Chiesa e soprattutto a partire dal IV secolo.

Il dopo morte. La carità

Interessanti i motivi che vengono indicati per spiegare l’adesione massiccia alla Chiesa. Sono soprattutto tre:

  • L’offerta di una speranza non ingannevole, ragionevole sul dopo morte. La religione cristiana è apparsa come quella che era capace di liberare dal “perituro e dalla morte”;
  • Il contributo fattivo a fare da punto di riferimento rispetto alla società tardoantica in violento dissolvimento, soprattutto sotto la spinta delle invasioni barbariche;
  • Una rete caritativa diffusa e fattiva. “Nella Roma del III secolo c’erano 50.000 cristiani che assistevano 1500 indigenti: un povero ogni 30 credenti (Roma aveva allora più di un milione di abitanti). 

Questi tre motivi hanno esercitato un’attrattiva enorme e hanno contribuito alla nascita della “Chiesa di popolo”. 

Interessanti, questi motivi. Il primo e il terzo potrebbero rappresentare ancora un elemento attrattivo anche per la Chiesa di oggi. Ma con dei “ma” importanti. L’uomo moderno, come quello antico, ha fame di senso di fronte alla insensatezza della morte. Ma non basta dirgli che andremo in paradiso o all’inferno. I novissimi vanno reiterpretati e mi pare che sia soprattutto necessario passare dalla descrizione di fantastici luoghi dell’”al di là”, alla risposta alle più profonde aspettative dell’uomo. Si dice spesso che sono spariti dalla predicazione ecclesiale i temi della morte, dell’inferno, del paradiso. Sono spariti e non sono più riapparsi o, per non essere troppo pessimisti, faticano a riapparire come discorsi non ingenui per l’uomo disincantato di oggi. 

Per quanto riguarda la carità si può dire che sarà sempre più come quella antica: una carità forte per – relativamente – pochi. Nella Roma del III secolo i cristiani erano meno del 5 per cento (gli abitanti di Roma erano oltre un milione). Ma ogni 1.500 cristiani c’era un povero da accompagnare. I cristiani erano pochi. I poveri – rispetto ai cristiani – erano molti. 

Solo un’indicazione che vi viene dalla storia antica della Chiesa. Ma provocatoria anche per la Chiesa di oggi.

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