Comunità cristiana e “polis”: connessione non commistione

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Un profeta del nostro tempo: don Sergio Colombo. Dossier/8

Mi sono occupato in maniera sistematica del rapporto di don Sergio con la città nel volumetto, L’umanità di Dio. Il disegno pastorale di don Sergio Colombo (ed. Dehoniane, Bologna 2015, pp.93-111), che è disponibile presso la Parrocchia di Redona. Qui ne riporterò alcuni passaggi che possono dare il senso della sua attenzione alla città dell’uomo. 

Non un cristiano di Chiesa, ma un cristiano nel mondo

Dopo avere proposto, con il libro di Giona, i due archetipi della città: Ninive, la città secolarizzata, e Tharsis, la città-rifugio (entrambe pericolose), comincia a prendere forma un disegno pastorale che si può sintetizzate così: l’appartenenza religiosa non è il fine del cristiano, che è quello di  “fare l’uomo”. La politica non è perciò facoltativa, ma l’ambito in cui il cristiano realizza se stesso e trova la sua salvezza.

La fede non propone un modello sociale e politico definito e ciò può fare apparire debole il Cristianesimo e forti altre religioni rassicuranti. Ma la Chiesa – dice don Sergio- non deve e non può rivaleggiare con le religioni della certezza (come il Musulmanesimo) né dar vita ad una sua contro-società (la città di Tharsis). Il cristianesimo è opera di un piccolo gregge, un seme, che custodisce il valore divino dell’uomo, e deve essere sparso.

Nella Chiesa di Bergamo si vorrebbe superare l’idea del cristiano di Chiesa a favore del cristiano nel mondo; del disperdersi più che del raccogliersi; dell’impegnarsi nel sociale nel gioco complesso delle strutture e delle istituzioni, rispettandole senza volerle a tutti i costi cristianizzare. 

Il cristiano influisce sulla “città” e viceversa

Il giornale Comunità Redona è stato lo strumento principale di questo progetto. Don Sergio accetta la critica di opinabilità del discorso politico ivi condotto, ma sempre ne rivendica la rigorosità metodologica e la coerenza con le posizioni della dottrina sociale cristiana e delle regole del ragionamento etico.  

Il confronto con la politica non resta solo nel piano della riflessione teorica. La pastorale di don Sergio vuole indagare in una duplice direzione: come il credere influisce sulla costruzione della città e come la costruzione della città influisce sul credere. È questo secondo che gli pare più rispondente ai segni dei tempi. Perciò, ad es., don Sergio coinvolge, perfino in maniera assillante, la comunità cristiana nella costruzione del Piano Regolatore.

Ma, diversamente dagli abituali comportamenti -che direi chiesastici più che ecclesiali-, non rivendica spazi e attenzioni per la Chiesa, al modo di un qualsiasi privato proprietario di suolo, ma cerca le soluzioni civili rispettose dell’umano comune, quand’anche queste comportassero sacrifici per pregresse posizioni dominanti della Chiesa. E sono le zone materiali in cui si svolge la vita della città che assurgono ad aree simboliche, perché segni e strumenti di legami con la natura, con la storia, con i cittadini di visioni diverse.

La Chiesa di Bergamo e la “città”: separatezza e commistione

Nel 2009, l’ingresso del vescovo Beschi diventa occasione di un dibattito sul rinnovamento della pastorale e sul rapporto Chiesa-società civile. Il rapporto del cristiano bergamasco con la città secolarizzata è segnato nello stesso tempo da separatezza e da commistione, non da distinzione e corretta connessione. I laici credenti sono o troppo intraecclesiali o impegnati ma incapaci di declinare le ragioni dell’uomo e quindi ininfluenti nella società.

La stampa locale, figlia di una “moderatismo astuto”

La stessa risorsa del volontariato rivela o un’idealità che si presume autosufficiente o una strumentalizzazione della politica (chiedere finanziamenti), mai una condivisione. La stampa cittadina stessa male rappresenta i cattolici, figlia com’è d’un “moderatismo astuto” che difende le posizioni ufficiali del ben pensare comune e si allontana sia dal profetismo sia dalla mediazione.

Proprio alla fine della sua vita don Sergio riassumerà la posizione maturata a Redona: la politica è una delle responsabilità umane tanto più alte quanto minore oggi è ne la stima; la fede ha un patrimonio antropologico spendibile nei progetti storici, che richiede formazione di laici, dialogo e mediazione; la fine dell’unità politica non dispensa i cattolici dal dar ragione delle scelte davanti alla fede e dal chiarire il metodo.

Parlare in Chiesa di politica, si sa, è delicato e c’è paura di spaccature, ma “dove c’è un senso forte della comunità, e il discorso politico viene tenuto su toni alti, è possibile ragionare di politica da cattolici”. 

Franco Pizzolato

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