A proposito di Comunità Ecclesiali Territoriali (CET). A cura di NATALE CARRA
La diocesi di Bergamo è suddivisa in 13 Comunità Ecclesiali Territoriali (CET).
Il testo di riferimento è lo statuto.
L’art. 3 dello statuto precisa persone e organismi della CET.
Da ricordare, tra queste, in particolare e in rapporto alle interviste che verranno pubblicate,
il Vicario, il consiglio pastorale territoriale (CPT),
le “Terre esistenziali” (relazioni affettive, lavoro e festa, fragilità, tradizione e cittadinanza).
Dopo alcuni anni, abbiamo pensato di tentare un provvisorio bilancio.
Abbiamo posto cinque domande ad alcune persone impegnate nelle CET.
Risponde in questa intervista ISABELLA PIROVANO,
coordinatrice di una delle “Terre esistenziali” della CET 5 (Sebino-Valle Calepio)
Della frase ricorrente “ma c’era proprio bisogno della CET” penso che la risposta è già nella domanda: il bisogno. Il Popolo di Dio ha un bisogno, quello urgente di scoprire o ri-scoprire Dio dentro la vita di ogni giorno. Quindi penso che la CET sia il tentativo umile di cercar di pensare a questo bisogno.
Mi ha coinvolta uno sconosciuto don Angelo (che poi scoprirò essere il Vicario successivamente sostituto da don Alessandro) con una telefonata. Ricordo molto bene. Mi ha chiesto se c’era la possibilità di vederci per un progetto… Ho dato subito la mia disponibilità, ero curiosa! Ricordo molto bene il tentativo di spiegarmi … Non avevo compreso nulla! Ma ho accettato a scatola chiusa con l’entusiasmo della possibilità di coinvolgere dei laici in qualche cosa che non avevo, e che forse non avevo ancora afferrato. Mi sono fidata di quel sacerdote che mi chiedeva del tempo per pensare; per il semplice fatto che qualcuno mi ha dato fiducia per riflettere su una Chiesa in cammino.
La scelta di distribuire il lavoro fondativo attraverso le cinque terre mi sembra positiva perché ha permesso di individuare questioni differenti e creare dei gruppi di lavoro, ma credo che si possano trovare anche soluzioni diverse, forse più efficaci. Quali? Non lo so, certamente un confronto su questo tema con le altre CET e le loro esperienze di lavoro potrebbe portare a un’idea diversa. Le variabili sono tante per poter dare una risposta che ha senso. Per esempio: il tema della CET scelto per la riflessione lo si può considerare come un indicatore per optare a scelte diverse. Lascerei aperta la questione a più orizzonti.
La mia CET in questi quattro anni ha messo in campo la consapevolezza dell’appartenere al Popolo di Dio. Ha riflettuto su uno stile e un linguaggio che possa essere capace di generare la riflessione in questa direzione. Ci siamo detti i laici “sul sagrato della Chiesa”. Ha generato una piccola Chiesa capace di ascoltarsi. Significativo che la nostra CET ha dedicato del tempo a tessere relazioni. Relazioni all’interno della CET fra persone che riflettono sul senso dell’essere cristiani oggi, ma non solo; persone che si sono rivolte al territorio per scoprire le belle realtà che ci sono sul territorio.
Se devo vedere il futuro devo prendere atto del presente. Certamente la pandemia non ha aiutato, ma non si può attribuire solo a questo la fatica di interagire con le fraternità e il significativo numero di persone che si sono perse durante questo mandato. Mi sono accorta che il tempo dedicato a questa esperienza è stato significativo, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Ho risposto con entusiasmo a questa sfida, ma ho colto tante difficoltà nell’incastrare gli impegni. Credo che la responsabilità sia la parola chiave in questo processo, che vede la necessaria collaborazione all’interno di una Chiesa che si deve guardare intorno e comprenderne le dinamiche che lo muovono. Senza questo ingrediente non credo che la CET possa vedere un futuro generativo per dei cristiani di oggi. Il futuro della CET deve contare sulla consapevolezza di cristiani responsabili e preparati. Un cammino che non deve dimenticare il senso di un’appartenenza comune: Gesù Cristo.
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Carra