La notizia mi viene da fonte che, posso affermarlo tranquillamente, è sicura. Questa. Un prete deve cambiare parrocchia. E’ un prete ancora giovane e di recente ordinazione, che dovrebbe fare il curato. Dovrebbe. La fonte che mi ha dato la notizia mi dice però che il reverendo in questione ha posto alcune condizioni: niente vita comune con il parroco, niente oratorio, niente pastorale dei giovani. Questo è ciò che non vuole fare.
Dovrei darmi da fare per informarmi se, dopo aver detto che cosa non vuole fare, ha anche qualche idea su che cosa vuole fare. Ma non so se ne vale la pena. In ogni caso, non potrà fare molto, mi pare, oltre la messa e, forse, qualche confessione. Sempre la mia fonte mi dice che il reverendo in questione è “molto devoto”. Appunto: rappresentante di una generazione nuova di preti che coprono il loro odore di naftalina con preghiere a mani giunte, vecchie pianete, canto gregoriano e latino.
Ora, di preti “sopra le righe” che vogliono fare quello che vogliono ce n’è sempre stati. Ma, in passato, con squadre di preti numerosi che lavoravano sodo sotto le righe, uno che si divertiva a mettersi sopra le righe, non faceva grossi problemi. Soprattutto non faceva gruppo. Veniva di fatto isolato, o si isolava lui e tutto finiva lì. Qui, invece, si ha a che fare con gruppi ristretti di preti in cui uno sopra le righe pesa molto di più che in passato e pone più di un problema.
Ma non è solo questo. Anzi, questo non è questo il problema più importante. Qui abbiamo a che fare con un prete che non si mette al servizio di una comunità ma pretende che sia la comunità a mettersi al servizio suo. E’ la versione ultima, la più drastica e la più rozza, del vecchio clericalismo che pretende che una comunità vasta e antica sia su misura del prete ultimo arrivato. La cosa più preoccupante è che il prete clericale è giovane ed è stato ordinato pochi anni fa.
A questo punto il problema torna al manico. Qualche tempo fa avevo chiesto al rettore del Seminario, in occasione di una assemblea dei preti, se si era presa in considerazione la tendenza dei preti di ultima generazione a puntare troppo su pizzi, tonache e tricorni. Don Gustavo Bergamelli, il rettore, mi aveva risposto che non era questo l’unico criterio, ma che si teneva in conto anche la capacità degli ordinandi di stare con i giovani e di vivere in oratorio.
Già allora quel criterio mi appariva insufficiente, ma non mi era stato possibile rispondere, seduta stante. Avrei fatto notare che i curati, nella diocesi di Bergamo, erano 130 circa all’inizio degli anni 2000. Ora sono una trentina. Cioè: la figura del prete curato sta sparendo o, per non essere troppo pessimisti, sta rapidamente perdendo di rilievo. Ormai al prete giovane si dovrebbe chiedere non di saper stare in oratorio, ma di saper stare in parrocchia. E, in una diocesi, un prete che non sa stare in parrocchia se, in ogni caso, lo si manda in parrocchia si creano molti per lui e per tutti.
Un parroco della diocesi di Bergamo mi ha detto che con il suo curato, che fa parte di questa schiera di preti “devoti”, non sa più cosa fare. Ha chiesto ai superiori di non mandargli più curati. “Ce la caveremo da soli”. Nota: il parroco in questione non è “di sinistra”, è molto moderato, è moderatamente conservatore. Ma è parroco e vorrebbe che i suoi curati molto innamorati delle loro tonache fossero innamorati anche della loro parrocchia.
A meno che. A meno che la diocesi decida per delle figure di prete non di parrocchia. Ma è cosa che va decisa, discussa, programmata, in questa situazione nuova, nella quale i preti stanno diventando una razza in via di estinzione. Il prete battitore libero è sempre stato considerato una anomalia, finora. Adesso sembra diventare normale. Ma se è normale bisogna chiedersi se farlo prete comunque e cosa chiedergli di fare una volta fatto prete.
E poi: non sarebbe meglio parlarne un poco e magare chiedere qualche parere a quei poveri cristi – o poveri diavoli – che hanno speso la loro vita a fare quello che i signorini appena ordinati – alcuni almeno – si rifiutano di fare?
Ultimi sviluppi della questione. Mi riferiscono che il prete in questione non andrà nella parrocchia dove era destinato. Non ha accettato la disponibilità “minima” che il nuovo parroco gli chiedeva. Non se la sente e, di fronte a quelle richieste, ripeto, minimali, si è spaventato, preso dal panico. A questo punto il problema torna, di nuovo, al manico.
Su un punto soprattutto: le comunità, le parrocchie in che misura sono coinvolte e rispettate da queste manovre di alto livello, dove, se va bene, viene coinvolto il parroco, se va male, cioè quasi sempre, non vengono coinvolti né consiglio pastorale, né consiglio dell’oratorio, né equipe educativa… Con tanti saluti alla bella immagine della Chiesa “Popolo di Dio”…