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“La fabbrica delle ragazze” di Ilaria Rossetti., un libro bellissimo.
L’esplosione in una fabbrica di armi, durante la prima guerra mondiale.
Tante piccole vite nel gran vento della storia

7 giugno 1918: un capannone della fabbrica di munizioni Sutter & Thévenot esplode a Castellazzo di Bollate, in provincia di Milano. Muoiono 59 lavoratori, 52 dei quali ragazze sotto i 30 anni, parecchie addirittura scomparse, perché ridotte a brandelli

La grande storia e una esplosione in una fabbrica di armi

Siamo durante la Prima Guerra Mondiale, e la fabbrica – dove lavorano centinaia di giovani donne con mani piccole e abili- serve per costruire bombe, granate e proiettili indispensabili per lo sforzo bellico. Perciò, d’accordo con il Governo, i giornali minimizzano l’accaduto, sia per tenere alto il morale del popolo, sia perché una fabbrica di quel tipo è fondamentale per gli armamenti. Tanto che già il giorno seguente all’incidente il lavoro viene ripreso mentre, a guerra finita, ben presto si smantella tutto, tranne una cabina elettrica, e del sacrificio della lavoratrici resterà solo una vecchia targa commemorativa, oltre a un bel murales sulla stessa cabina.

Questa la storia vera che ha ispirato Ilaria Rossetti nel suo bellissimo libro “La fabbrica delle ragazze”(Bompiani, 2024). Intenso, poetico, documentato, e molto attuale, è una denuncia del lavoro femminile e delle morti sul lavoro e insieme dei danni collaterali di tutte le guerre. 

La piccola storia in un affresco corale

Da una storia vera, l’autrice passa subito a quella  possibile e piena di poesia di tante piccole vite nel grande vento della storia, con sguardo realista e insieme tenero, senza retorica, dal bel ritmo, colpi di scena, cambi di prospettiva, in un affresco quasi corale.

In queste storie diverse ricostruite con la libertà e creatività del narratore, la realtà si fa allora articolata e ricca  nel render conto dei fatti e di come le persone li elaborano per sopravvivere, bene o male. C’è ad esempio chi, modesto e mite, per combattere i sensi di colpa si rifugia nel sogno di ciò che poteva essere e non è; chi, più pratico e realistico, si mette alla ricerca di un improbabile colpevole per dare un senso alla sua sofferenza … tutti comunque in qualche modo affrontano il dolore, la perdita, il lutto.

E’ gente semplice, che si esprime nel dolce dialetto milanese, dai sentimenti vissuti con pudore e ritrosia, e dalla vita misera e aspra, segnata dal duro lavoro dei campi.

I luoghi nel libro assumono un valore primario, tanto forte quanto quello delle vite delle vittime. Il romanzo ci porta così nelle campagne intorno a Milano, unite dal Seveso, percorse da ragazze in bicicletta, i capelli al vento, e uomini sui carretti.

Una campagna umida di brina o argentata dalla galaverna, oppure verde e assolata, bagnata dalle chiare acque del fiume.

La guerra che insegna a tutti

Una delle protagoniste, Emilia Minora, è stata davvero vittima dello scoppio: l’autrice ne ha naturalmente inventato la storia, ma l’ha scelta per la giovane età (20 anni), che l’avvicina a quella di Hemingway, allora diciottenne, accorso realmente sul luogo dell’esplosione da Milano come autista dell’American Red Cross. (Lo scrittore ne parlerà in un racconto, dove confesserà il suo shock nel trovarsi per la prima volta davanti a cadaveri di donne).

Altro tema del libro è la guerra, che segna tutti, e acquista qui un valore esistenziale, metaforico, oltre a quello più letterale relativo alla Grande Guerra. La guerra dunque, e tutti i suoi punti di vista, da chi è profondamente convinto della “causa bellica”, a quello dei disertori, magari illusi e innamorati delle madrine di guerra.

Ilaria Rossetti dimostra insomma in tutto il libro una rara sensibilità narrativa, che trova, secondo me, nella sintassi e nella scelta lessicale il perfetto accompagnamento. La scrittura, appena venata di dialetto, è leggera e incisiva, con uno sguardo realistico e di grande umanità, sull’asprezza della vita e la capacità di resistergli, e esprime la volontà di dare una voce a chi non l’ha mai avuta, a tante piccole, modeste, voci dimenticate.

Laura Cerri

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