Gesù, secondo il racconto di Luca, inaugura il suo ministero pubblico recandosi, come al solito nel giorno di sabato, nella sinagoga di Nazaret. Qui gli vien dato il rotolo di Isaia, dove Dio, attraverso il profeta, si presenta come Colui che
annuncia ai poveri un lieto messaggio, proclama ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, la libertà agli oppressi, un tempo di grazia, di accoglienza, di misericordia (Lc 4, 18-19).
Dopo la lettura, Gesù, in maniera autorevole, solenne, fa una stringatissima omelia. Tre parole.
Oggi si è compiuta questa Scrittura.
Si tratta dell’ “oggi” teologico, escatologico, dove si realizza il compimento nella persona di Gesù. Ed è con la stessa radice lessicale che termina nel IV Vangelo, la vita terrena di Gesù: “Tutto è compiuto”. Gli ultimi tempi sono già arrivati.
Ecco, è su questa “compiutezza”, la pienezza divina a cui siamo destinati, che si fonda la speranza cristiana.
Cristo, il passato, il presente, il futuro. “ Cristo Gesù, nostra speranza” (Tm 1, 1).
La speranza che il Signore offre, non è mediata dalle istituzioni, né è custodita da esse, e neppure si qualifica come una dottrina in più, un’ulteriore verità, qualcosa da dimostrare, ma è ciò che caratterizza il credente che, passato attraverso il crogiolo della metànoia (la conversione), osa dire:
Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori, per virtù di Colui che ci ha amati. Io sono infatti convinto che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù nostro Signore (Rom 8, 35-39).
Certo, non è cosa facile e, parafrasando Bonhoeffer, si potrebbe dire che è a caro prezzo.
Infatti non è buonismo, facile ottimismo o un modo di eludere le delusioni del quotidiano, perché, se speranza è “certezza”, ciò che il Signore ci chiama a vivere, l’ideale a cui tendere, speranza non è “sicurezza”, senza tensioni e lacerazioni, intrappolati, come siamo, dentro le paure, le delusioni, e soprattutto ingabbiati nel nostro io ipertrofico.
Speranza è il bianco gelsomino di Etty Hillesum; è il fiordaliso di Bonhoeffer: “il più prezioso fiore, il più raro,/ nato in un’ora felice della libertà dello spirito,/ che osa, che confida”. La bellezza di ciò che non conta, contro l’ansia di prestazioni.
Speranza sono le due piccole monete della vedova povera, che offre tutta la sua vita; è il preziosissimo profumo sprecato ai piedi di Gesù; è la purezza di un amore che resiste alla tracotanza del mondo che non sa; è la luce che rischiara le tenebre della morte.
È il canto degli angeli, quando il cielo si squarcia per dare spazio a quel bimbo che “giace in una mangiatoia”.