Vorrei esprimere una mia valutazione sul sinodo dei Vescovi che nelle settimane scorse si è svolto a Roma. Debbo dire che la scelta sinodale mi piace e la vorrei diffusa anche a livello di base. Ho seguito con attenzione, tramite la stampa e i vari mass-media, i lavori del Sinodo rimanendo particolarmente impressionato dalla varietà della provenienza, di pensiero e di tradizione dei vescovi confluiti a Roma, evidenziando la complessa pluralità della Chiesa Cattolica, più plurale di qualsiasi altra comunità religiosa.
Sono rimasto particolarmente colpito dalla cerimonia penitenziale presieduta dal Papa e tenuta il primo ottobre nella basilica vaticana. Non è usuale che un importante incontro a livello internazionale inizi con un “mea culpa” sui peccati come gli abusi sui minori, sui migranti anche su tanti altri peccati che riguardano tutta la Chiesa: quelli contro la pace, il creato, i migranti, le popolazioni indigene, le donne, i poveri, i giovani. È chiaro che riconoscere i peccati significa anche tendere alla conversione.
L’ epoca in cui ci troviamo a vivere è segnata da dalla possibilità di grandi catastrofi, ma anche da profonde innovazioni. Vivere in questo contesto di forti contraddizioni obbliga tutti a prendere posizione e a dire con chiarezza da che parte colloco il mio impegno di vita. Anche l’episcopato mondiale, come parte della élite governante del mondo, penso debba mostrare maggior coraggio nel riconoscere i tratti di inumanità che con prepotenza sono presenti nella vita quotidiana: guerre, crisi ambientale, fame, crescita e ampliamento delle disuguaglianze sociali, iniqua distribuzione della ricchezza, dei beni, del potere, pervasività delle tecnologie digitali che stanno modificando lo stesso modo di essere delle persone e le loro relazioni.
A fronte di queste turbolenze i vescovi sapranno resistere alle pressioni che esercitano le posizioni conservatrici che si muovono tra loro e che non esitano a mettere in discussione il pensiero e l’agire di Papa Francesco?
Questo è tempo propizio per la vita della Chiesa, purché lasci irrompere i problemi delle donne e degli uomini del nostro tempo. Le grandi certezze politiche e anche quelle scientifiche sono state sottomesse al dubbio e all’incertezza, ed è proprio per questo che si è aperto maggior spazio per l’annuncio del Vangelo. Questo annuncio è però possibile se il mondo dei cristiani accoglie il confronto e l’incontro con ciò che segna il nostro presente e garantisce il valore del pluralismo ecclesiale, tenendo sempre ben presente quanto fortemente i diversi contesti influenzano le culture, le diverse civiltà e le forme del vivere.
E’ perciò necessario che vi sia indipendenza e competenza critica per riconoscere i punti di forza e di debolezza delle proposte che sono uscite dal Sinodo e come serva un coinvolgimento maggiore dei laici per poter far leva sulle loro competenze, esperienze, sensibilità, lungimiranza e quanta empatia umanitaria di tipo planetario si debba portare appresso per rendere feconde e generative le discussioni e le decisioni del Sinodo mondiale e quelle che scaturiranno da quelli regionali compreso quello della Chiesa che è in Italia.
Nell’avanzare i miei auspici mi sento di dover rimarcare che il tema della sinodalità è ancora poco conosciuto dai semplici fedeli. Nei mesi estivi ho partecipato alla messa domenicale in diverse chiese e ho dovuto registrare che nelle omelie poco o nulla si faceva riferimento al Sinodo e al suo significato. Del resto ho l’impressione che anche le encicliche di Papa Francesco siano poco presenti nell’ omiletica domenicale.
La Chiesa ha avviato in cammino che la dovrebbe portare a praticare la sinodalità come principio ad ogni livello. Mi rendo conto che per molti il termine sinodalità suona come parola straniera ingombrante, mentre ai più sfugge che ci possiamo trovare immersi nel più grande movimento di riforma della Chiesa cattolica: camminare, deliberare e decidere insieme – con il Papa, con i vescovi, con i pastori, ma anche con con il “popolo della Chiesa”.
Il tema della partecipazione dei fedeli è stato posto, la sua implementazione richiederà ancora tempo e spazio, ma non potrà essere delusa. Da qui inizia il momento di sperimentare nuove esperienze e lasciare che molti fiori sboccino.
Avendo chiaro che ci si è immessi in un cammino complesso che rappresenta una riforma della Chiesa che, se verrà attuata avrà ripercussioni politiche e sociali se abbandonerà le tentazioni autoreferenziali e clericali per una stagione di grande uscita per poter adempiere al suo compito nel mondo.
Sulle ordinazioni diaconali delle donne si è registrata tra i vescovi una grande agitazione ma per momento, Papa Francesco esita cogliendo che nella Chiesa esistono tradizionali resistenze al ruolo delle donne e ritenendo la questione non ancora matura.
Le ragioni per aprirsi e recuperare questa prospettiva che, non scordiamolo, era quella presente nella chiesa nascente dove era prassi ordinaria, sono forti e non agire mette in crisi quell’attesa fiduciosa che si è sviluppata e che esige di non essere sprecata dalle esitazioni, dalle restrizioni decisionali e da visioni conservative.
Ciò che deve tenere unita la Chiesa è il valore delle diversità che vivono e sorgono al suo interno. Non può più essere la disciplina ma l’amore e la comunione a fare l’unità come il Papa Francesco, ha affermato anche nella recente enciclica “Dilexit Nos”.
Ultimo appunto riguarda la nostra nostra responsabilità di credenti nel continuare il cammino sinodale, cioè di come attuare la partecipazione responsabile di tutti ai vari livelli. L’ordinazione diaconale delle donne, i cambiamenti nell’insegnamento sessuale, il superamento di un’etica conservatrice in materia economica, sono questioni che riguardano la vita delle persone e che la Chiesa non può ignorare o restare ancorata a principi che non coinvolgono più il cuore della gente. I problemi da affrontare sono molti ma la strada e stata aperta e speriamo che i Vescovi italiani con il sinodo della chiesa che è in Italia ci aiutino a collocare i segnavia.