Il Consiglio pastorale parrocchiale

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Il Consiglio pastorale parrocchiale

Il Sinodo di cui non si parla – A proposito di sinodalità. Si pensa talora il consiglio pastorale parrocchiale nella logica delle istituzioni democratiche della nostra società. In realtà si tratta di qualcosa di diverso. Una relazione del teologo don Giovanni Rota

 

Il consiglio pastorale parrocchiale. Ne ha parlato il teologo don Giovanni Rota, docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale e presso il Seminario Vescovile di Bergamo, presso il Seminario di Savona, lo scorso 9 febbraio, in un’interessantissima conferenza. Titolo: Sinodalità e discernimento comunitario. Fraintendimenti, equivoci, precisazioni della “sinodalità” tra ecclesialità dichiarata e vissuta: l’esempio del consiglio pastorale parrocchiale.

Ciò che qui vorrei offrire è semplicemente una serie di spunti, alla luce del testo sopracitato, per riflessioni utili per le nostre comunità parrocchiali. Ho in mente, in particolare,  coloro che sono stati scelti per far parte di questo consiglio Rimandando al testo integrale della relazione del professor Rota per ulteriori approfondimenti e per un’inquadratura più esaustiva della questione.

Il consiglio pastorale parrocchiale (d’ora in avanti, CPP), può essere un ottimo riferimento per comprendere in cosa consista la sinodalità e per evitare lo scivolamento in fraintendimenti pericolosi sul tema.

Consigliare non è facoltativo

Innanzitutto, il CPP è un consiglio! La prima questione decisiva da inquadrare da un punto di vista ecclesiale, pertanto, è il fatto che, nella Chiesa, il consigliare non è facoltativo. Se a livello teorico, infatti, il consiglio è qualcosa di assolutamente facoltativo, nella Chiesa esso è invece necessario per il cammino della comunità e per giungere alle scelte pastorali più opportune.

Nel “consigliare”, infatti, si realizza un volto preciso di Chiesa. E quale Chiesa?  “Una Chiesa nella quale tutti i battezzati sono investiti in quanto tali del diritto e della responsabilità di “partecipare” all’azione pastorale della Chiesa stessa, sentendola come propria e non semplicemente delegandola ai presbiteri o ai consacrati in generale”.

Per questo, la questione del carattere consultivo del CPP non va letta in termini minimalisti, che risulterebbero scorretti.

Nella prospettiva di un’ecclesiologia di comunione, non è pensabile che nella Chiesa vi sia una “componente attiva” rappresentata dal ministero ordinato e una “passiva” o meramente “recettiva”. Come se il ruolo del CPP fosse quello di rettificare semplicemente quanto già stabilito a priori dai presbiteri. Scopo del consigliare, inevitabilmente, è quello di giungere a una decisione.

Consigliare e presiedere

Qui si colloca un aspetto decisivo, che illustro con le parole del teologo Rota.

La particolarità del consiglio pastorale come soggetto deliberante è che in esso vi sono funzioni diversificate, le quali escludono la sua configurazione come istituzione tipicamente democratica secondo l’accezione civile, funzionante secondo criteri puramente numerici di maggioranza e minoranza, di conteggio di voti espressi.

Mi sembra una questione decisiva, questa, in quanto spesso le tensioni nei consigli pastorali parrocchiali si giocano su questo punto. Nel consiglio pastorale, come in ogni consiglio della Chiesa, vi è la presenza di due funzioni fondamentali, quella del consigliare” e del “presiedere”. In questa sede, sottolinea don Rota, trovano sintesi il ministero della presidenza, proprio del parroco, e la corresponsabilità di tutti i fedeli.

Pertanto, si è fuori da una logica puramente democratica: non tutti i voti sono uguali e si è lontani da una prospettiva di calcolo dei voti. Ruolo del parroco è quello di operare una sintesi armonica tra le differenti posizioni.

Qualora non vi sia una questione che richiede una decisione urgente, nel caso di permanenza di forti divergenze nel consiglio, è bene rimandare la decisione a un altro momento, quando la questione sarà stata maggiormente istruita. Non solo ma, insieme, si avrà compiuto il discernimento sulla volontà di Dio, nella docilità all’azione dello Spirito Santo.

Consiglio pastorale parrocchiale: l’identità di chi vi fa parte

Infine, un’ultima questione che il professor Rota affronta e che, per quanto mi è capitato di vedere in questi anni in parrocchia, risulta fondamentale. Quali dovrebbero essere le caratteristiche, a livello umano e di fede, di chi entra a far parte del consiglio pastorale parrocchiale?

A livello generale, don Rota risponde così: “occorre che i componenti del consiglio siano qualificati non solo da competenza ed esperienza, ma anche da uno spiccato senso ecclesiale e da una seria tensione spirituale, alimentata dalla partecipazione all’eucaristia, dall’assiduo ascolto della parola e dalla preghiera”.

Per quanto riguarda la fede, quindi, decisive sono il senso della Chiesa e la tensione spirituale alimentata dalla preghiera e dalla pratica religiosa. È necessario che i membri dei consigli coltivino una assidua formazione nell’ambito della fede, per accrescere la sensibilità al lavoro pastorale comune. Nello stesso tempo deve crescere la loro familiarità con il Vangelo, la dottrina e la disciplina ecclesiastica in genere.

Il buon senso non basta

Risulta chiaro, pertanto, che non si può “consigliare” nella Chiesa “ a partire da un semplice buon senso o da un sagace intuito pratico o da un generico interesse per la vita della parrocchia”. Insieme a queste caratteristiche di fede, fondamentale è anche il lato umano delle competenze richieste.

È necessario che il consigliere sia caratterizzato da uno stile di comunicazione fraterna, al quale si affiancano l’attitudine al dialogo e alla correzione fraterna.

Non possono poi mancare, ovviamente, la competenza e l’esperienza. I laici sono già competenti, ad esempio sui settori che caratterizzano la loro vita lavorativa o di impegno politico, amministrativo ecc… Sulle questioni ecclesiali, è importante che essi vengano formati e che le questioni pastorali vengano adeguatamente istruite, prima di discernere quali scelte operare in un certo ambito.

Su questo, importanti restano le indicazioni, squisitamente pratiche, di papa Francesco, seguendo le quali sarà possibile un lavoro pastorale ben fatto, con procedure chiare e sciolte, senza complicazioni burocratiche eccessive. Ma nel contempo anche senza quella modalità approssimativa  “che spesso non rende un buon servizio al corpo ecclesiale e talvolta è funzionale alla mera conservazione di un potere”.

 

Il Sinodo di cui non si parla

Leggi anche gli articoli di:
Paolo Vavassori
Nadia Perletti
Ada Doni

5 Comments

  1. francesco ha detto:

    grazie per questi interessanti e costruttivi articoli

  2. […] anche gli articoli di: Alberto Varinelli Ada Doni Paolo […]

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