Fraternità che nasce dal basso. Vorrei legare questo tema a quanto discusso e da discutere nell’evento del Sinodo. Vedo che c’è un grande fermento, infatti, attorno al Sinodo della chiesa italiana. La stessa cosa sta succedendo con parole come fraternità e comunione. Su altri versanti, ma con una valenza simile di significato e di contenuti, succede con parole del tipo ecologia integrale o economia di comunione, economia sociale.
Il dopo covid ci ha come inchiodato a quella famosa frase di Papa Francesco del venerdì santo, pronunciata in piazza san Pietro: nessuno si salva da solo. Sono parole e sfide che stanno entrando sempre di più nel nostro lessico ecclesiale. Ritengo questo un fatto buono, anzi ottimo. Leggo che attorno a questo nuovo linguaggio si stanno avviando progetti e iniziative di diverso tipo. Spero davvero che questo movimento verso una sinodalità dal basso o una fraternità universale possa diventare il cammino futuro della Chiesa.
È sicuramente una sfida, ma va raccolta e giocata fino in fondo. Riguardo la fraternità universale, già Fr. Carlo De Foucault scriveva nei suoi diari queste parole:
“le costruzioni si chiamano Khaoua “la fraternità”, poiché Khouïa Carlo è il fratello universale. Pregate Dio perché sia veramente il fratello di tutte le anime di questo paese…. Il mio umile oratorio porta il nome di “fraternità del Sacro Cuore di Gesù”; è un luogo d’amore di Dio e d’amore degli uomini, una fraternità, poiché devo essere fratello universale, fratello tenerissimo e devotissimo di tutti gli umani, sull’esempio del CUORE di GESU’, maestro e modello adorato….”
Non voglio aggiungere nulla a tutto il dibatto aperto attorno a queste parole, attorno alla fraternità. Voglio solo sottolineare due aspetti che nella mia piccola vicenda personale ho scoperto essere fondamentali per vivere la fraternità.
Un primo aspetto lo chiamo l’intimità della fraternità. Per essere pronti a diventare fratelli universali dobbiamo come prima cosa confrontarci con noi stessi, con il nostro mondo interiore.
La prima forma di fraternità è quella che mi permette di vivere nella pace del mio cuore, nello shalom biblico, nella pienezza della vita.
Vuol dire fare i conti con noi stessi, con i nostri limiti, le nostre fragilità, ma anche con le nostre attitudini, con la bellezza della nostra vita. Non posso portare in un processo sinodale, in una fraternità universale la mia fatica di vivere. Possiamo andare verso gli altri nella misura in cui andiamo verso quello che siamo nel profondo del nostro cuore. Solo chi è in grado di dire io in una pienezza di vita può dire anche noi.
L’altro versante è quello della chiesa, della società, del mondo. Costruire percorsi che possono incontrare il mondo interno. Anche qui con un distinguo. Don Milani scriveva: “Non si può amare tutti gli uomini. Di fatto si può amare un numero di persone limitato…” E poi ancora in una lettera alla studentessa Nadia scrive:
“… È inutile che tu ti bachi il cervello alla ricerca di Dio o non Dio. Quando avrai perso la testa come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio… Ti ritroverai credente senza nemmeno accorgertene.”
Nel cuore porto l’amore universale, ma il vissuto mi richiede di costruire percorsi particolari, appunto i dieci ragazzi di don Milani. Piccole fraternità di comunione, piccoli esempi di economia sociale. La fraternità nasce dal basso.