
L’articolo sui 97 preti che “hanno lasciato” ha suscitato reazioni.
Proponiamo i punti di vista di due nostri collaboratori che ci sembrano interessanti.
Domani pubblicheremo un secondo articolo sul tema
Il fenomeno dei preti che hanno lasciato è più ampio… Secondo me andrebbero classificati così… Anche per avere una reale portata della crisi in atto… Quelli che di fatto hanno abbandonato pur continuando a fare i preti ma senza più entusiasmo e senza più crederci. Che magari non lasciano perché a una certa età è troppo destabilizzante e faticoso. E quelli depressi, quelli frustrati. E quelli che non vivono in pienezza la loro missione perché hanno compensazioni deviate, oppure hanno caratteri scorbutici e/o lunatici con i quali i fedeli fanno fatica ad interagire. Lo so che non essendo computabili non si può farne una stima… Ma la crisi è maggiore di quelli che lasciano e trattare solo quei dati potrebbe essere ingannevole, pur nella loro significatività.
Chi dice che la diminuzione dei preti sia un problema? E Non un’opportunità? Credo che la diminuzione delle vocazioni non sia un problema. Oppure lo è per una certa visione e organizzazione di Chiesa. Con un modello non clericale e non tridentino non sarebbe così problematico.
Padre Francesco Cavallini
Di questi 97 preti ne ho conosciuto almeno 10. Anche questi mi hanno cresciuto e accompagnato, alcuni sono anche amici carissimi. Hanno in comune di essere delle gran brave persone, di aver incontrato una donna e di aver maturato un sentimento: una perdita enorme per la chiesa ma, con quali lacerazioni, ancora risorse per la società!
Non riesco assolutamente a capire perché la chiesa non li abbia “trattenuti”: mi sembra solo una “preoccupazione” storica fondato su una tragica visione del corpo, proprio in quella fede che ha fatto di “un corpo” il segno di “eterna alleanza”.
Osvaldo Roncelli