Con questo articolo
si chiude il dossier su don Sergio Colombo.
Certamente qualcuno ha letto con piacere queste varie evocazioni.
Ma il piacere più grande l’abbiamo provato noi nello scriverle.
Sono passati nove anni don Sergio. Se non il giorno stesso sappi che nei giorni dell’anniversario della tua morte vengo al cimitero di Calcinate a trovarti. Sono ancora vicino come parrocchia, quindi in pochi minuti sono da te. E mi sembrerà di riascoltarti. Ne avrei di cose da dirti. Innanzitutto sappi che mi stai creando non poche difficoltà in questo periodo.
No, aspetta, non dirmi: “Ma va là, bambo!”. Ascoltami! Non so quante volte ho riprovato, in questo periodo, a riascoltare la tua ultima omelia, pronunciata con la poca voce che quella maldetta malattia, che ti avrebbe portato via esattamente una settimana dopo quel matrimonio, ti aveva lasciato. Lì ti sento, sento la tua commozione per i tuoi giovani che Dio stava unendo, la tua gioia per quella celebrazione e il tuo dolore insieme per l’imminenza della fine che ti portava via da loro, da noi. E io, non faccio apposta, non riesco più ad ascoltarla.
Ascolto le prime tre parole, “Esiste la felicità?” e devo spegnere, non riesco ad andare avanti. Che dire? Quando la parola di una persona vera, proprio come la Parola di Dio, ti tocca nella carne, ti segna. Non ci sono “ma” che tengano.
Eh sì Sergio, la carne: quante volte ne hai parlato, ricordi? È l’umano… quello che citavi sempre perché tu hai sempre sottolineato l’umanità di Dio, il volto della Divina Dolcezza che viene in mezzo agli uomini. Va un po’meglio se riprendo in mano il tuo testamento. Alcune righe ora le cito a memoria.. ok ok, non arrabbiarti Sergio.
So che sei allergico ad ogni visibilità e avevi chiesto che dei tuoi scritti non fosse pubblicato nulla, ma che venissero lasciati solo per una possibile ricostruzione del cammino che la comunità di Redona ha fatto per attuare il Concilio. Ecco, vedi? Ti sto citando! Scusami, non faccio apposta, ne ho un disperato bisogno. Nel post scriptum hai segnalato che l’unico ingombro che lasciavi erano i libri.
Ti ricordi Sergio quando ti ho portato l’invito alla prima Messa? Io sono della parrocchia di Santa Caterina, ma avevo fatto la catechesi e i sacramenti con i miei compagni di scuola a Redona. La prima eucarestia che ho ricevuto, quell’Eucarestia che oggi celebro anch’io, l’ho ricevuta da te. E chi la dimentica? Dicevo che, portandoti l’invito, mi dicesti subito che non ti era possibile partecipare a causa di un impegno. E poi, che mi dicesti? “Alberto, mi raccomando, dove andrai in parrocchia porta quel che serve. Se dimentichi qualcosa non fa niente, ma non dimenticarti di portare i libri!”.
Ho cercato di seguire il tuo consiglio Sergio, di coniugare la pastorale con la mia gente con la lettura e lo studio, perché anche la lettura e lo studio divenissero forma ordinaria del mio voler bene alla gente. Il tutto vissuto nella preghiera, perché è lì che la Divina Dolcezza viene presso ciascuno di noi. Con tanta fatica, ma con maggior riconoscenza e affetto, rileggo le ultime righe del tuo testamento, che voglio donare a tutti quelli che leggeranno queste mie poche righe confuse, “buttate giù” di getto ma col cuore:
Ho tanta voglia di vedere il Signore, di incontrarlo. Sono curioso di vedere che cosa saprà darmi di più di quanto mi ha già dato in questa vita. Sono emozionato nel pensare a che cosa vorrà dire per me vivere accanto a lui! Ho voglia di ritrovare alcune persone il cui distacco mi ha lacerato. Ho voglia di ritrovare la bellezza di questo mondo che abbandono con tanta nostalgia.
Va bene Sergio, la smetto. Però lasciami dire che ci manchi, questo sì. Continua a guardarci, per favore. Ti saluto, ora. Il caro amico don Alberto, tuo amicissimo, salutando qui a Grumello la nostra signorina Eusebia, concluse così il suo testo: “Arrivederci Eusebia, arrivederci”. Ecco, ti saluto così anch’io, oggi: “Arrivederci Sergio, arrivederci!”
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