
Nel 1611 i monaci di Camaldoli commissionarono per il loro refettorio una grande tela a un pittore allora di grande successo. Scelsero come tema l’illustrazione dei versetti finali dell’episodio di “Cristo tentato nel deserto” come narrato nel Vangelo di Marco e di Luca. Come pittore incaricarono Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio.
Cristoforo nasce nel 1553 a Pomarance presso Volterra dove il padre, agiato mercante bergamasco, si era rifugiato fuggendo precipitosamente per cause tuttora ignote.
Studia a Firenze; nel 1582 è a Roma e solo sei anni dopo risulta già annoverato tra gli accademici di san Luca. Verrà chiamato con il nome del suo paese natale pur dichiarandosi e firmandosi “bergamasco”.
Il pittore, di grande successo nella Roma del tempo di Caravaggio, sarà uno dei più rappresentativi artisti della cultura prebarocca e post conciliare cui la Chiesa affiderà la credibilità del proprio decoro culturale, espressione di religiosità senza tormenti e fede sicura gioiosamente rappresentata dall’impegno pauperistico dei seguaci di Filippo Neri.
Al centro della tela, alle spalle di Cristo, si spalancano gli spazi già barocchi dell’invisibile. Intorno al tavolo gli angeli si affaccendano in gesti di offerta; portano segni simbolici di azioni buone – frutti maturi e uno scrigno – e di peccato – i piccoli rettili allusione alla costante presenza tentatrice del demonio, figure di morte e dannazione.
Ai lati sopra i ritratti dei donatori – i due potenti Aldobrandini, “cadinal nepoti”- le scene della Tentazione di Cristo sono rese a colpi di luce con pennellate argentee; a sinistra Cristo rifiuta il pane del demonio sotto tralci di edera, simboli di eternità; a destra il demonio precipita dagli spalti evocativi della Gerusalemme Celeste.
Scarsamente rappresentato nella storia dell’arte, il tema esprime la gioia di un festoso banchetto allestito da speciali servitori per accogliere un Convitato straordinario reduce da un’impresa impegnativa; restituisce la bellezza di un momento di vita per celebrare la vittoria sul male, sulle privazioni, tra passati quaranta giorni di deserto e prossime prove definitive: celebra la festa del cibo, un’impresa riuscita, il trionfo della vita.
I severi frati camaldolesi vollero nel loro refettorio una meditazione in immagini che anticipasse, durante i loro austeri pasti, l’annuncio del pane di “un’ultima cena” e la festa di “un’ultima notte di morte”.