Non è difficile intravedere nella frase “Dio ti vede” qualcosa che oscilla fra ammonimento e minaccia. Può essere, infatti, l’ammonimento a non dubitare mai di uno sguardo protettore e paterno. Oppure può essere la minaccia di uno sguardo che sorveglia e che giudica. In fondo, si potrebbe dire che la natura dello sguardo dipende dalla natura di chi guarda. A seconda dell’idea diversa che si ha di Dio si ha anche una concezione diversa del suo sguardo. Lo sguardo altro non è che la traduzione simbolica, antropomorfa, del rapporto che si pensa di intrattenere con Dio” (don Alberto Carrara).
È bello e suggestivo quanto scrive don Alberto sullo sguardo di Dio-Amore che “vede” e “condivide” i nostri dolori e le nostre gioie. Tuttavia è solo da poco tempo che ho cominciato ad avere verso nostro Padre questo atteggiamento di figliolanza amorevole. Ho riesaminato un po’ tutta la mia vita, partendo dalla fanciullezza. Ho constatato che da sempre ho visto il nostro Dio come un giudice, pronto a coglierci in fallo. Mi ha sempre dominato la rappresentazione per me un po’ oscena di un occhio inscritto in un triangolo, che vede i nostri peccati, e soprattutto quelli a sfondo sessuale, come spiandoci dal buco della serratura.
Certamente, fin da piccolo, devo aver sofferto di una carenza affettiva. Ho ancora davanti agli occhi la scena di me mentre piango disperatamente in braccio ad una tata-domestica, vedendo mia madre, mio padre e mia sorella partire per Venezia per partecipare al matrimonio di una lontana parente.
Per non parlare delle elementari, una scuola privata frequentata dai figli della più alta borghesia bergamasca. Insomma, sono cresciuto con l’idea che per essere amato dovevo meritarmelo.
Solo da poco tempo ho scoperto intimamente di essere oggetto di un amore gratuito da parte di nostro Padre. Come dice più volte Gesù, è necessario sentirsi e riconoscersi peccatori per sentirsi amati dal Signore. La perfezione non consiste nel rispettare puntigliosamente delle regole. Adesso sì che avverto la preghiera come un bisogno di stare con il mio Signore, che vede e conosce e riconosce le mie debolezze e che vuole solo che io ricambi il suo amore perché io sia felice.
L’ho capito tardi, ma la conversione non è né può essere un darsi appunto delle regole rispettose delle norme della comunità ecclesiastica. Non dipende dal praticare digiuno, elemosina e preghiera, ma da “come “ li pratichiamo. Sono attività, esercizi di allenamento necessari per avviarci sulla via dell’amore, ma non sono sufficienti se sono fine a se stessi. Anzi, potrebbero anche essere controproducenti se ci fanno sentire “a posto” con la nostra coscienza.
Io penso che la “conversione” nasca proprio da qui, dal comprendere che non c’è nessun prezzo da pagare a Dio padre. Il “figliol prodigo” della parabola descritta dall’evangelista Luca al cap.15, è stato perdonato dal padre prima che lui stesso glielo chiedesse. Le nostre azioni, quindi, il nostro sforzo di essere conformi al vangelo di Gesù, per quanto encomiabili, non possono mai bastare a modificare il nostro cuore. Dovremo avere il coraggio di riconoscere in noi stessi i famosi “sette vizi capitali” (invidia, avarizia, superbia, ira, gola, accidia, lussuria). Il tentativo di eliminarli da noi stessi con le nostre sole forze ci farebbe diventare dei cristiani di “plastica”, un po’ come i fiori e le piante finte.
Non sono i nostri sforzi che ci fanno convertire, ma l’affidarci al Signore nella preghiera, aprendogli il nostro cuore, perché Lui vi entri portando il suo Spirito, Spirito di fortezza, sapienza, scienza, intelletto, consiglio, pietà e timore del Signore. Allora sapremo guardare a noi stessi ed agli altri con sentimenti di compassione. Ci sentiremo liberati dal giudizio, saremo capaci di esprimere amore verso noi stessi e verso il nostro prossimo. Cambierà il nostro “sguardo” e attraverso i nostri occhi gli altri potranno scorgere la presenza del Signore.
Ci sono tanti personaggi nel Vangelo che, avendo incontrato Gesù, lasciano lì tutto e lo seguono: gli apostoli, Matteo e tanti altri. Personalmente ho percorso un’alta strada, quella di una trasformazione lenta, per nulla conclusa, lunga una vita, cercando di essere costante nella preghiera e nel confronto con il Vangelo.
Tengo sempre a mente queste parole di Gesù: ”Se voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il padre manderà il suo Spirito a chi glielo chiederà!”
Signore, noi ti preghiamo, apri i nostri cuori al tuo Spirito di pace!