
Come è nata la “Buona Novella” di Fabrizio De André? Pochi lo sanno.
Il fiuto del gol. Si dice dei grandi attaccanti. Quelli che sentono il gol, che fanno il movimento, che vedono prima degli altri gli spazi di inserimento e di battuta a rete. Si può dire anche di quelle sentinelle che, nella notte, scorgono la luce prima di altri.
Qualche tempo fa mi è capitato di intervistare don Carlo Scaciga, sacerdote novarese, oggi 75enne. Uno degli ispiratori de La Buona Novella di Fabrizio De Andrè. Un vero rabdomante in cerca perenne di senso.
«Ero un giovane prete e con un amico, Don Donato Paracchini, abbiamo ascoltato alcune canzoni di De Andrè e soprattutto, quando uscì il longplay “Tutti morimmo a stento”, ci ritrovammo un po’ sui suoi temi, così umani, così profondi, così pieni di verità, così capace di scavare al di là delle ipocrisie e delle apparenze.
Ad un certo punto lo facemmo sentire anche ai ragazzi e ci venne l’idea di incontrarlo. Sapevamo che Fabrizio De André non faceva concerti e insomma, per farla molto breve, ci mettemmo in contatto con lui. Allora non era molto facile mettersi in contatto con lui perché non c’era Internet, quindi si scriveva una lettera e la lettera, invece di mandarla, abbiamo pensato di fargliela avere. Invece, quando arrivammo a Genova al suo indirizzo, lui ci ricevette direttamente con non poco imbarazzo da parte nostra; ci accolse con un’assoluta gentilezza e, a questo punto, lesse la lettera, si mostrò interessato non di fare un concerto, ma di incontrare i giovani di Verbania dove noi eravamo come responsabili della Pastorale giovanile. Chiamò naturalmente i suoi consiglieri, che erano il poeta Mannerini e Roberto Dané. Tutti lo spinsero a quest’incontro.
L’incontro si fece con grande apprensione di Fabrizio De André, il quale era già piuttosto timido. Figuriamoci a parlare a 800 ragazzi! Per lui credo sia stato un po’ un dramma, ma lo fece straordinariamente. Ci fu questo meraviglioso dibattito sui temi di “Tutti morimmo a stento”.
Da lì partì anche la nostra amicizia, andammo a trovarlo parecchie altre volte e parecchie altre volte parlammo un po’ delle cose che ci stavano a cuore, che gli stavano a cuore, sentendo una sintonia notevolissima.
Ad un certo punto ci disse che aveva intenzione di fare un disco su Gesù. Qualcuno dei suoi collaboratori non è che fosse molto d’accordo, era anche il ’69, c’erano anche altri fermenti, anche molto forti, non tutti di un unico segno. A questo punto noi gli consigliammo come fonte oltre che il Vangelo anche i Vangeli apocrifi perché ci sembrava che contenessero degli spunti poetici molto interessanti.
Gli regalammo una copia dei Vangeli apocrifi appena usciti in edizione economica e cominciò evidentemente a lavorare, perché dopo qualche mese ci telefonò e disse “è pronta “La buona Novella””. Nasce dunque questo disco, non ne abbiamo grande merito ecco, però abbiamo la gioia di averlo un po’ tenuto a battesimo, nel senso di aver fornito del materiale sul quale poi la sua vena poetica e anche la sua spiritualità si è potuta esercitare. Oggi possediamo questa opera che lui stesso riteneva un’opera assolutamente fondamentale della sua produzione artistica.»
Ecco come è nata la “Buona Novella” di Fabrizio De André.
Frugare nei ricordi, nei meandri e nelle anse di incontri preziosi, epifanie folgoranti di pezzi di vita. A volte succede. Tuttavia, non basta. La memoria non funziona così. Siamo sommersi di fuochi di paglia, di ami gettati in acque promettenti. Non siamo mai sazi dell’eredità che il passato lascia. Perché è tutta da costruire. Lentamente, senza fretta ma con un pizzico di militanza.
«Non c’è come ascoltarlo ancora oggi per capire quanta ispirazione profondamente spirituale – potrei benissimo dire cristiana ma non voglio battezzare nessuno – si nasconde in quel disco. Noi continuammo ad essere in contatto con lui praticamente per qualche anno, fino a quando lui si trasferì in Sardegna, poi ci perdemmo un po’ di vista. Telefonammo ancora per sapere, quando lui era stato rapito, se fosse necessaria qualche mediazione, e poi comunque lo abbiamo seguito avendolo sempre comunque nel cuore, perché non solo “La buona novella”, ma un po’ tutta la sua produzione direi poetica in senso globale ha segnato a nostro avviso quegli anni e non solo quegli anni.»
Uno spunto che ha il coraggio di ritirarsi. Di lasciare libero l’altro senza accaparrarselo per forza. Nella voce di don Carlo Scaciga c’è molto della Chiesa del futuro. Genesi ed eredità.