
Che tanti adolescenti vogliano riprendere parola e ruolo nel disegnare i loro percorsi di formazione e i caratteri dell’esperienza scolastica è cosa buona, da incontrare subito, con attenzione profonda.
Anche considerando che diversi loro coetanei hanno lasciato fiducia e parola e agiscono per bande, anche violente, su soffocanti percorsi devianti contro regole, cose e persone. Mentre altri, silenziosamente, non sanno uscire dal ristagno nel chiuso e nell’angoscia.
Quale parola incontrano gli adolescenti che parlano, sfilano, gridano, scrivono su cartelloni e social? Una parola adulta che giudica e rimbrotta, minimizza e deride? O una parola che chiede, indugia, si confronta con franchezza, e apre, indica percorsi?
Apprendere sul lavoro non può essere esperienza di adattamento passivo, di utilizzo improprio dentro organizzazioni d’impresa e di servizio, e logiche meccaniche, produttivistiche, impersonali. Spesso insicure. Può e deve essere portare vite giovani alla interrogazione ed alla prova delle professioni, dei saperi di impresa, delle logiche economiche, di cosa è bene, risorsa, prodotto, prestazione, sostenibilità, dignità.
Una prova di mondo e di futuro, un incontro con donne e uomini del lavoro, delle competenze e dell’impresa, per coglierne consegne e testimonianza. Anche nella differenza, anche nel conflitto e nella contrattazione, nella negoziazione.
Studenti che sono in alternanza, tirocinio, prova lavoro non sono forza lavoro aggiuntiva. Sono occhi, corpi, domande, attese di una vita e un pensiero giovane da ospitare come verifica di futuro, per riportare i fatti di economia e le competenze al senso di responsabilità a futuro. Nell’orizzonte dei diritti generazionali e della biosfera: la cura del mondo.
Le studentesse e gli studenti che prendono parola e entrano negli spazi pubblici (strade, piazze) vanno incontrati, devono trovare adulti che li vivono interlocutori preziosi nella vita sociale e istituzioni della vita comune.
Magari in percorsi impegnativi ed esigenti di apprendimento-servizio, di servizio civile adolescenti (c’è una legge che langue in Parlamento). Sperabilmente connessi ad una scuola che sia dell’esperienza, dell’immaginazione, della ricerca e della cooperazione.
Perché paure e incertezze (anche la paura che il futuro sia loro rubato) siano rielaborate in cammini di prova, legame e progetto, dove trovare il volere proprio e l’amor proprio della vita giovane.
Servono adulti seri e generosi, donne e uomini che siano autorità amanti, le cui parole (magari non condivise) siano riconosciute come cosa viva.
Abbiamo bisogno a scuola, e nella convivenza da ridisegnare oltre la pandemia, della energia e dello sguardo non già velato, degli slanci e degli smarrimenti di giovanissime e di giovanissimi. Offrendo un cercare, un apprendere e formarsi, un lavorare che sia consegna e coltivazione del mondo. E attenzione al fragile e al nascente, e gioia e responsabilità. Che valga la pena, quella che sempre un po’ chiede.