Il giro dei preti. Le parrocchie, grandi dimenticate

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Il giro dei preti. Le parrocchie, grandi dimenticate

Ogni anno è la stessa storia. Ad un certo punto, cominciano a girare le voci e, dopo poco, una paginata de L’Eco annuncia ufficialmente i trasferimenti dei preti

Arriva il nuovo prete e tutto viene buttato per aria

Spesso le scelte sono frutto di lunghe pensate, altre volte sono aggiustamenti dell’ultima ora, dovuti, per lo più, al rifiuto, che cresce di continuo, di sacerdoti che non accettano, per diversi e svariati motivi, le proposte di destinazione del Vescovo. Le comunità sono “naturalmente” escluse da questo processo. Per di più spesso e volentieri si trovano a che fare non solo con preti diversi ma, soprattutto, con modalità pastorali molto diverse. Non è raro che percorsi di  corresponsabilità avviati dal parroco precedente siano azzerati dal nuovo arrivato. O che sperimentazioni liturgiche o catechetiche frutto di parecchi anni di riflessioni comune e di scelte condivise tra i (pochi) preti e i (tanti) laici siano accantonate.

Come mai la comunità cristiana non viene in nessun modo interpellata?

In questi casi, come in molti altri casi, viene da chiedersi la ragione per la quale la comunità cristiana non venga interpellata. Gli amici preti con cui ne parlo mi rispondono che, quasi sempre, pure loro vengono informati a giochi fatti. Raramente vengono sollecitati a offrire un profilo di comunità che renda meno complicato possibile l’inserimento di un nuovo sacerdote.

Mi rendo conto che  le questioni in gioco sono tante e non si possono banalizzare. Il prete perfetto (come, del resto, il laico perfetto) non c’è, per fortuna, ed è sotto gli occhi di tutti che alcuni sono un bel problema in qualunque posto li si metta. E dunque è buona cosa che le inconsapevoli comunità se ne facciano carico a tempo determinato.

Eppure “sinodo” significa “cammino fatto insieme”

Eppure qualcosa sarebbe opportuno cambiare. Anche solo per dare sostanza a parole come “sinodalità”, un percorso che, se non vuole essere ricoperto di stucchevole retorica, va sostanziato di ascolto diffuso, di comunicazione trasparente, di confronto autentico. Un sinodo che deve diventare processo e non ridursi ad evento (più o meno sopportato). In Diocesi in diversi si sono attivati e le pratiche sinodali hanno mostrato la ricerca di una “sinfonia” nella varietà dei carismi e dei ruoli: né fughe solitarie, né ricatto dell’immobilismo.

Lo stile sinodale chiede di mettere in gioco l’esercizio del potere

Si sta comprendendo, una volta in più che assumere la postura di chiesa sinodale significa mettere in gioco l’autorità e l’esercizio del potere, la capacità – davvero! – di camminare insieme. E’ l’unico modo per togliere fiato al clericalismo, dare spazio alle laiche e alle laici, impedire che qualcuno decida per tutti, facendo proprio un principio caro alla Chiesa del primo millennio: “ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato e approvato”. 

Perché non immaginare di accompagnare le comunità – con modalità da pensare –  dentro i processi, a volte dolorosi, di cambio dei sacerdoti? Perché non fare diventare questi cambi occasioni di confronto sulla scelte di fondo pastorali su cui è impostata e si imposterà la vita parrocchiale? Da qualche parte la “postura sinodale” tanto auspicata bisognerà imparare ad assumerla. O no?

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