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Impressioni personalissime di un prete in partenza

Il nostro collaboratore Don Alberto Varinelli parte per una nuova “destinazione”.
Gli abbiamo chiesto di dire qualcosa del suo stato d’animo, verso quello e quelli che lascia e verso il futuro che lo aspetta

Stavolta tocca a me. Era nell’aria da tempo. Un “curato” di oratorio oggi, in media, dopo 6/7 anni viene trasferito ad altro oratorio o, se l’età è già avanzata, in una parrocchia come parroco.

Sono stato curato. Lo sarò ancora in un ambiente totalmente diverso

Sono stato 15 anni consecutivi in Valcalepio. Seminarista a Grumello in quinta e sesta teologia, ordinato prete nel 2010 sono stato destinato come curato a Telgate, pur risiedendo a Grumello, dove sono stato nominato curato, conservando anche l’incarico a Telgate, 5 anni dopo la prima nomina. A conti fatti, sono 5 anni di curato a Telgate e otto di curato interparrocchiale come responsabile degli oratori di Grumello del Monte e Telgate.

Ora, dopo tanti anni, la chiesa di Bergamo mi destina a nuovo incarico: vicario parrocchiale, a Seriate, parrocchia di circa 24000 abitanti confinante con Bergamo. Risiederò nella zona “risveglio”, dove si trova la Chiesa e il Centro Pastorale Giovanni XXIII progettato dall’architetto Mario Botta e realizzato circa vent’anni fa. Dunque non più direttamente curato di oratorio, ma sempre curato, con molteplici impegni: catechesi, percorsi con adulti, momenti di pastorale giovanile come il CRE, funerali (tanti.. essendo la zona dove risiederò abitata da circa 9000 persone.. mediamente 70/80 l’anno), qualche ora di insegnamento a scuola.

Il tutto condiviso con gli altri sacerdoti della parrocchia; saremo 8 in tutto, di cui tre coetanei, essendo noi nati nel 1984 e due compagni di ordinazione, io e don Fabiano, curato dell’oratorio.

Al momento sento tanta fatica

Questi i fatti, nudi e crudi. E poi? E poi ci sono io, con i miei sentimenti, le mie fatiche, le mie speranze. Come sto? È una domanda che mi fanno in molti, soprattutto chi mi è vicino. Al momento sento tanta fatica, per via di quelle relazioni che abbiamo creato in tanti anni e, inevitabilmente, verranno vissute in modo diverso. Con qualche persona e qualche famiglia custodisco il desiderio che l’amicizia e la frequentazione, nella discrezione, possano continuare. Ciò che è vero, credo, supera i limiti imposti dal tempo e dallo spazio (che non è nemmeno molto, peraltro, essendo a 15 minuti dalle parrocchie che sto per salutare…).

Continuo a ripensare a questi anni, ai tanti momenti belli vissuti, ma anche a quelli meno belli, per rileggere, per capire come non sbagliare nuovamente o, semplicemente, per prendere atto che è andata così e non poteva essere altrimenti (fa bene prendere coscienza anche di questo!).

Farò fatica a non vedere più volti di bambini, ragazzi, genitori, volontari che hanno costituito la mia quotidianità per tanti anni e anche quei luoghi che sono diventati per me “casa”: le chiese, gli oratori, la casa e le case di chi tante volte mi ha invitato facendomi sentire parte della sua famiglia.

Si soffre molto, ed è giusto che sia così

Si soffre molto, ed è giusto così. Confido per il futuro nella vicinanza della mia famiglia, che non mancherà, degli amici che si sono fatti compagni di viaggio nel tempo e nella fraternità che si è creata con alcuni preti, negli anni condivisi insieme in seminario, in parrocchia o sul territorio.

“Era quello che ti aspettavi?”. È un’altra domanda tipica che si fa ai preti. Stavolta non sono scivolato sul terreno insidioso delle aspettative personali, che mi avevano creato sofferenze anni fa… Sono maturato? Non lo so (non posso purtroppo dire che è l’effetto dei capelli bianchi… perché in pochi mesi i capelli mi hanno proprio abbandonato…). Volevo obbedire alla chiesa e a quanto mi avrebbe proposto in base al bisogno che c’è e l’ho fatto, senza pormi tante domande e senza avanzare pretese.

“Sei contento?”. Ecco, questa domanda è quella che mi permetto di suggerire di non rivolgerla a un prete che cambia. Sulla base di cosa risponde? Di un futuro che non conosce? Certo, se un prete ha espresso richieste particolari, quali potersi dedicare agli studi o a un impegno particolare in diocesi e viene esaudito, forse la domanda è legittima, perché legata a desideri espressi ed esauditi. Ma in tutti gli altri casi no.

Il cambiamento è rischioso. Ho tanta speranza

Il prete che cambia vive un momento delicato, perché il cambiamento, che pure ha certamente i suoi tratti positivi, è sempre anche una lacerazione. E questa fa male. Ho speranze per ciò che verrà? Questa è la domanda vera. Se sarò contento lo potrò dire solo col tempo, con l’impegno e con la piena dedizione alla comunità nella quale vengo inviato.

Quello che posso dire ora è che ho tanta speranza: speranza di fraternità vera con i preti, speranza di camminare insieme alla gente, speranza che Dio continui a benedirmi, a dire bene del mio cammino di uomo e di prete. Per questo, chiedo a tutti una preghiera per me e per chi con me si prepara a salutare gente diventata cara, per continuare a camminare con altra gente che lo diventerà.  

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