Sono soprattutto donne e uomini vulnerabili a vivere un rapporto con l’esperienza lavorativa sospesa tra lavoro tipico e lavoro atipico: tra “ nuovi lavori”, segnati da innovazioni tecnologiche ma anche da scarsa qualità solo esecutiva e precarietà, e lavori tradizionali con accesso a diritti e cittadinanza, per alcuni anche attraverso collocamenti obbligatori.
Non sono poche le persone esposte con le loro vulnerabilità sull’esperienza lavorativa, non sono più solo categorie speciali. Il lavoro è tornato ad essere luogo “forte”, e duro, di inclusione o marginalizzazione, di riconoscimento o negazione di diritti, di dignità personale e sociale o di scivolamento nella necessità e nel puro adattamento.
Il lavoro si fa questione sociale e culturale, luogo che ridà o toglie senso alla dimensione politica della vita comune. In non pochi casi l’esperienza del lavoro ed i suoi luoghi si sono rivelati, durante la pandemia, capaci di tenere relazioni, di aprire circuiti di responsabilità, di sostenere molti lavoratori nella loro autonomia. Luoghi di tenuta e di alleanza.
Il lavoro diventa questione culturale
Per contrasto sono pure emersi con ancor più forza anche tratti ed esperienze di un lavoro luogo di “selezione” sociale, con le aree dell’autonomia personale e del rispetto soffocate. Con un allargamento di realtà di povertà (assoluta e relativa) anche tra i lavoratori.
L’esperienza lavorativa può essere promossa, sostenuta, normata in modo da rappresentare uno spazio per l’esercizio di libertà responsabili, per lo sviluppo di progetti di vita, per offrire respiro di futuro condiviso con altri, anche impegnativo, e di coltivazione di sé?
Aprire il lavoro a questa cura, a queste dimensioni, tra l’altro, può rendere la convivenza più responsabile verso le stesse politiche economiche e industriali, verso le esigenze di chi il lavoro lo crea e lo organizza.
Ci sono due dimensioni sulle quali l’esperienza lavorativa diviene uno dei luoghi sociali della rilevante forza “abilitante” o “disabilitante”.
La prima riguarda proprio l’incontro e la rielaborazione delle fragilità personali di ogni lavoratrice e lavoratore dentro l’organizzazione e le relazioni di lavoro. Questione seria vista la scia di sofferenza psichica ed assistenziale che la pandemia lascerà negli anni.
È una questione che va al di là dei casi ‘certificati’ e delle disabilità più definite: è questione di cultura, di attenzione alla cura delle risorse umane, della comunità impresa.
La seconda riguarda lo “sradicamento” dal vincolo sociale che molti giovani, ma non solo, vivono con una forza sorda nell’ultima stagione. È uno sradicamento che tocca la memoria e la relazione tra le generazioni; e che tocca anche la speranza verso il futuro, e crea un senso di forte incertezza che si fa minaccia. La perdita di senso, a volte accompagna lo sfinimento delle relazioni.
Molti lavoratori perdono l’importanza della condivisione delle esperienze, il valore della partecipazione
Molti lavoratori e lavoratrici, giovani ma non solo, perdono di vista il senso che “tiene insieme” la propria storia lavorativa, storia a volte coltivata con altri. Perdono la importanza della condivisione delle esperienze, il valore della partecipazione, la possibilità della contrattazione, e la fecondità del pensiero condiviso con altri.
Anche la “frammentazione delle carriere” di cui parla Sennet, l’affastellamento di esperienze, la individualizzazione, la strumentalità… tutto questo sradica. Sradica e non fa sentire con altri: poche e deboli le solidarietà, le destinazioni, le gratitudini…
“Désaffiliation” dicono i francesi: non sentirsi nel legame, declinare verso una sfiducia sociale!
E allora si deve tornare da capo: a cercare di serbare e coltivare la dignità di ogni lavoratore e lavoratrice insieme ed oltre gli inserimenti lavorativi di chi è fragile. Si deve cercare di costruire nelle organizzazioni del lavoro, profit e non profit, nelle organizzazioni stesse dei lavoratori, esperienze di “affiliazione”, di legame, di storie comuni tra donne e uomini del lavoro vulnerabili e pure capaci.
È importante chiederci: come “nasce” il lavoro oggi? Dentro quali intenzionalità, e quali obiettivi e finalità? Da quale rapporto tra domanda e offerta? Dentro quale senso e quale orientamento di futuro?
É importante seguire e vegliare i percorsi dei lavoratori, diversi tra loro: chi diventano e cosa giocano di sé ? Quali attese e possibilità possono coltivare, e quali rinunce? Quali dimensioni di relazione, solidarietà e conflitto vivono?
La riflessione sul rapporto tra disabilità e lavoro ha, da alcuni anni, permesso di mettere a fuoco le “funzioni latenti” del lavoro
La riflessione sul rapporto tra disabilità e lavoro ha, da alcuni anni, permesso di mettere a fuoco le “funzioni latenti” del lavoro: i suoi caratteri di rafforzamento (o messa in crisi) delle identità. Ha messo a fuoco anche le dimensioni di motivazione e autostima che coltiva o atrofizza; gli esercizi di ruolo e i contatti sociali cui abilita; l’organizzazione del tempo e l’integrazione con altre dimensioni della vita personale.
Occorre “acculturare” i contesti perché non siano handicappanti, si dice da diversi anni. Vegliare sulle regressioni o sui ridimensionamenti giustificati dalla “necessità “ e dalla “crisi”.
Occorre guardare come e da cosa nasce il lavoro. Anche perché “moralizzare” il lavoro quando è nato male è difficile.
Le esperienze del lavoro – cui le fragilità e le disabilità costringono a tornare con interrogazioni forti ed esigenti – possono essere un luogo di ritessitura delle ragioni degne della spesa delle proprie capacità con e per altri. E insieme a questo, delle relazioni partecipative e delle trame di responsabilità, del patto sociale. Questo rinvia agli orizzonti dello sviluppo sostenibile, della occupazione di qualità, della partecipazione alla gestione delle imprese, dell’economia civile.
Oggi di fronte alle attese elevate di ascolto o alle richieste di attenzione per “tenere” equilibri di vita delicati e precari, il lavoro chiede di essere ridisegnato.
Ricomporre diverse esigenze di vita, segnata da nuove fatiche e limiti, con le forme ed i rapporti di lavoro è divenuta questione seria. E non solo per lavoratori “speciali”, ma per ogni lavoratrice e lavoratore.
Questione seria, in una stagione di conflittualità. Queste rischiano d’essere esacerbate e poco disponibili a mediazioni e riconciliazioni.
Riaprire l’immaginazione pratica alla costruzione di condivisioni di significati, accoglienze, e voglia di futuro è un lascito necessario alla vita giovane.
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