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“Da laico nella città” rubrica a cura di Daniele Rocchetti

L’avventura umana e spirituale
di don Giovanni Nicolini

Ci sono incontri che cambiano lo sguardo e la vita. Per me è stato quello con don Giovanni Nicolini. Con Renata, mia moglie, ci capitò, più di trent’anni fa!, di essere ospiti a Sammartini. Capimmo subito lo spessore di un uomo e di un credente che cercava di fare del Vangelo – sine glossa – la sua traccia. Ci siamo visti più volte e più volte è stato ospite di Molte Fedi sotto lo stesso cielo. La prima volta è stato in dialogo con Gad Lerner e poi con Massimo Cacciari, Paolo Prodi, Ferruccio De Bortoli, don Matteo Zuppi, Vincenzo Balzani, Pierluigi Castagnetti, Silvano Petrosino, Romano Prodi. Moltefedi 2022 omaggerà don Giovanni mandando in onda online visibile a tutti la sera di mercoledì 14 settembre alle 20.45 una lunga intervista preparata appositamente. 

Ha mostrato le poche cose che contano

Un amico fedelissimo che ha mostrato le poche cose che contano nella vita di un credente: la Parola, la compagnia degli uomini del proprio tempo, l’amore e la cura dei poveri, la passione per la politica. Quando mi proposero di diventare responsabile della Vita Cristiana delle ACLI nazionali gli chiesi se voleva fare l’Assistente nazionale. Accettò subito e fu un dono, per me e per le ACLI. 

Un paio di estati fa mi è capitato di salire a Sovere, ospite di “Casa Merati” –  la casa della nonna materna di don Giovanni ora di proprietà delle “Famiglie della Visitazione”, la comunità di vita cristiana da lui fondata –  e trascorrere diversi pomeriggi insieme. Da quei lunghi e preziosi dialoghi ne ho ricavato un libro, “Il canto dei poveri dà ritmo al mio passo” (Coop. Achille Grandi Bergamo, 2022). Un libro di incontri: con don Lorenzo Milani e don Giuseppe Dossetti, il cardinal Giuseppe Lercaro e don Marco Cè, Arturo Benedetti Michelangeli e Claudio Abbado,  Helder Camara e Gad Lerner. E tanti poveri chiamati per nome. Perché non c’è fedeltà alla Parola che non sia fedeltà ai piccoli nella storia concreta. 
Il testo – si può richiedere all’e-shop del sito di Moltefedi (www.moltefedi.it)  – è impreziosito dall’introduzione del cardinal Zuppi e dalla postfazione di Romano Prodi. Ma dentro, per intero, vi sta la passione evangelica di don Giovanni. Un’eccedenza così grande che fa perdere il confine tra credenti e non credenti. Perchè è sull’umano che ci si incontra e ci si riconosce. Così è Giovanni, così dovrebbe essere per chi sostiene di dirsi cristiano.

La fede in un linguaggio mondano

L’altro giorno ci siamo di nuovo incontrati e con forza mi ribadisce la necessità per noi credenti di custodire la sostanza della fede cristiana traducendola in linguaggio mondano.

In fondo, ogni volta che leggo qualche pagina di Vangelo, mi viene incontro Gesù nella sua laicità, nel suo porsi in modo autentico di fronte alla vita. Sul vangelo ci abbiamo messo il catechismo e abbiamo chiesto alle persone più la fedeltà a questo che alla Parola. Eppure le esperienze fondamentali sono lì per tutti: nascere e morire, generare e essere generati.”  

Mentre parla, mi tornano alla mente alcune pagine di Dietrich Bonhoeffer: “Nessuna chiesa sarà mai autorevole e credibile sulle cose ultime finchè non sarà irreprensibile e seria su quelle penultime.”  E’ il realismo della vita cristiana che don Giovanni ha cercato di vivere per tutta la sua vita. Che contrasta molte volte con l’insieme di norme e precetti con cui abbiamo caricato le donne e gli uomini del nostro tempo e ingabbiato l’unica cosa che come cristiani abbiamo di prezioso: l’umanità del Vangelo. E’ ancora Bonhoeffer a ricordarlo in modo impertinente:

Che un uomo tra le braccia di sua moglie debba bramare l’aldilà, – scrive nella lettera del 18 dicembre 1943 – è, a essere indulgenti, mancanza di gusto e comunque non la volontà di Dio.

O, detto con le parole di Simone Weil:  

Non è dal modo in cui un uomo parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle cose terrestri, che si può meglio discernere se la sua anima ha soggiornato nel fuoco dell’amore di Dio. 

Capaci di leggere insieme la Bibbia e il giornale

In fondo don Giovanni Nicolini ha rappresentato, insieme con molti altri, il profilo credibile di quel filone minoritario prezioso per la società e la chiesa italiana  che è stato il cattolicesimo democratico. Credenti che hanno preso sul serio il Vangelo e hanno scelto di stare nella città di tutti senza nessuna pretesa o arroganza se non quella, in nome della fede, di scommettere laicamente sull’umano e cercare ostinatamente il dialogo e “terre di mezzo” dove potersi incontrare, anche nelle differenze. Bonhoeffer avrebbe detto “capaci di leggere insieme Bibbia e giornale”o come avrebbe detto, di nuovo, il mio amico Paolo Giuntella “capaci di leggere insieme il Concilio e la Costituzione”.

Un filone minoritario che anche in tempi complicati, di chiesa e di mondo, ha custodito capacità di ascolto, di comprensione delle ragioni degli altri, della complessità della condizione umana, capacità di tolleranza, di tenerezza, di dialogo, non per annacquare la propria porzione di verità o la propria esperienza di fede, ma per condividere, compartir. Tenere insieme la radicalità dell’esperienza cristiana, centrata sulla Parola e la simpatia con gli uomini del proprio tempoUn filone che ha generato credenti che hanno unito a un fortissimo senso delle istituzioni un altrettanto forte senso della giustizia sociale, dell’eguaglianza, dei diritti degli ultimi, degli oppressi e dei dimenticati. Convinti che il cristiano non può stare a metà. Perché, come diceva un slogan cileno «Non esiste il centro tra giustizia e ingiustizia».

Dio sa quanto oggi avremmo bisogno di cristiani così!

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Rocchetti

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