Un sacerdote, interpretando il sentire di molti, dice di credere nel sacerdote celibe ma non scapolo. Nel senso che non viva da solo ma in una comunità di altri sacerdoti, oppure di famiglie, oppure in una comunità con altre persone. Eviterebbe sia l’autoreferenzialità e sia l’assumere stili di vita malsani o deviati e una maggior capacità di relazione.
Un sacerdote ha condiviso che il momento in cui ha servito meglio la comunità, con più dedizione, empatia, creatività e vicinanza è stato nel tempo in cui ha vissuto una storia d’amore.
Molti hanno riportato come il binomio celibato/castità lo sperimentino nel tempo (quindi non dal principio) come un impedimento a uno sviluppo completo ed armonioso della propria umanità.
Vari laici che hanno avuto a che fare per motivi di spostamenti di lavoro con pastori protestanti ne sono stati edificati. Ne cito uno:
Ho toccato con mano e col cuore la dinamicità di un sacerdote che vive a pieno le dinamiche familiari, la trasmissione e la tenerezza delle competenze acquisite. E la visione reale della vita che viveva era tangibile e vera testimonianza. Il valore aggiunto della famiglia e il suo coinvolgimento nella pastorale si traduceva in un’esperienza di orientamento per le famiglie della parrocchia e per la crescita affettiva anche dei singoli fedeli”.
Ma ancora di più sono quelli, sia sacerdoti che laici, che non solo credono nella possibilità del matrimonio come completezza umana-affettiva del sacerdote ma pensare proprio una “coppia sacerdotale”. Essere sacerdoti come coppia che si prende cura di una comunità, che insieme pensano le liturgie, le preparano, così come la predicazione e la catechesi.
Viene in mente il versetto di Genesi 1,27: “E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo creò”. L’immagine di Dio nella complementarietà e nella comunione della coppia. Personalmente credo molto in questa possibile nuova figura sacerdotale: la coppia! Certo sono necessarie persone che si sentano chiamate a questo. (E ce ne sono! La Chiesa attuale non prevede questo tipo di figura ma non per questo si può dire che Dio non chiami a questo!).
Potrebbe trattarsi di una fecondità che consisterebbe nel dedicarsi alla comunità, al popolo di Dio (e non necessariamente procreare).
Ne ho già parlato negli articoli precedenti. Ci sono, è vero, tanti sacerdoti (e religiosi/e) in difficoltà a vivere il celibato e la castità in modo sano, sereno e fecondo. Se ne incontrano anche tanti altri con problemi caratteriali e di compensazioni malsane.
Ma ce ne sono tantissimi che lo vivono con gioia, pienezza e grande fecondità.
Tra questi qualcuno riprende la considerazione (tematizzata tempo fa anche da Giuliano Ferrara – cfr Il Foglio, 6 ottobre 2019) circa la testimonianza, il rimando a Dio e al trascendente che il celibato/castità testimonia al mondo. Personalmente non condivido!
Prima di tutto dipende come lo si vive. Talvolta può diventare una contro testimonianza. In secondo luogo non credo che il rimando al divino e il non adeguarsi alla “Logica del Mondo” passi solo e più efficacemente da lì. E’ una delle varie modalità, non l’unica.
Credo che passi molto della “Logica del Regno” in una vita impegnata generosamente nel lavoro, nella famiglia, nella società, con generosità, fedeltà, perseveranza. Non strumentalizzando gli altri, pagando le tasse, facendosi carico dei poveri, costruendo un mondo più giusto, non accumulando ricchezze, vivendo una vita di fede e di comunione. E credo che l’ “Essere l’alter ego di Gesù nella Comunità” (CCC n. 1549) sia una vocazione di tutti i cristiani.
Certo mettere positivamente in discussione l’obbligo del celibato e della castità apre a infinite problematicità.
E se il prete sposato vivesse una relazione extraconiugale? O la moglie? Oppure si separassero? O i figli problematici assorbissero troppe energie? O la gelosia della moglie condizionasse il suo servizio? E la gestione economica della famiglia? E la disponibilità ad essere ciclicamente inviati in luoghi diversi?
Personalmente ritengo che nessuno di questi problemi sia motivo per non togliere l’obbligo del celibato/castità. Ritengo che i problemi che ci sono tra i sacerdoti e i religiosi oggi non sono di meno e neanche tanto diversi di quelli che potrebbero esserci in una famiglia che non funziona di un prete sposato. (Anche da celibi spesso manca una dedizione di tempo ed energie alla comunità, si ha un uso malsano del denaro, una cattiva gestione delle relazioni).
Credo molto alla coppia sacerdotale, come ulteriore figura che si aggiunge al sacerdozio celibatario e a quello dei religiosi. Cioè non semplicemente del prete sposato o uno sposato sacerdote (l’idea dei probiviri) ma una vocazione sacerdotale condivisa nella coppia e vissuta in coppia.
E’ un intuizione spirituale ancora un po’ confusa: un sacerdote sposato la cui vocazione e missione è condivisa dalla moglie che partecipe al servizio della comunità con le proprie prerogative e talenti? (Alcuni diaconi permanenti già lo vivono così) Oppure anche la moglie “sacerdotessa” che collabora anche sacramentalmente, complementare e interscambiabile nell’esercizio del ministero?
Credo inoltre che la questione della immaturità affettiva e di una sessualità sana sia un problema generale di coppie, single, sacerdoti e religiosi. Credo quindi che al di là della questione sacerdoti sposati o meno sia un’urgenza per chiunque.
Credo anche che abbiamo bisogno di Vescovi illuminati e coraggiosi che sappiano aprire la possibilità a varie sperimentazioni e valutare nel tempo il frutto di queste nuove esperienze, a beneficio della Chiesa universale e di ogni cristiano.
Credo che da tutto questo ancora una volta derivi un ripensamento radicale della “forma” di Chiesa, sia con nuove figure di clero e sia con un ruolo significativo dei laici (adeguatamente formati). Soprattutto va ripensato il ruolo della donna. Le argomentazioni teologiche che impediscono l’ordinazione al sacerdozio ministeriale delle donne sono sempre meno sostenibili.
Con questo articolo si conclude il trittico dedicato a questo argomento ma il dibattito rimane vivo e per chi volesse continuare la riflessione o pensare delle iniziative può scrivermi alla mail personale: cavallini.f@gesuiti.it