Dotti/Alla ricerca del futuro perduto. E delle parole per dirlo

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Dotti/Alla ricerca del futuro perduto. E delle parole per dirlo

Beata Speranza/Il senso di questa rubrica. Trovare le parole, ora che le parole si sono estenuate. Non basta che le cose funzionino. Bisogna che abbiano un senso

 

Il futuro e le parole per dirlo. Questa piccola rubrica porta in sé l’intenzione, o sarebbe meglio dire la preghiera, di contribuire a risvegliare la speranza in terra bergamasca  in questi tempi apocalittici.

Tempi di svelamento delle grandezze e delle miserie che la modernità porta con sé. Tempi di verità per una comunità e per una società. Tempi di verità anche per la comunità ecclesiale.

Un’intenzione ed una preghiera che cerchino con franchezza e misericordia di nominare ciò che i sensi, l’intelletto e lo spirito “vedono e ascoltano”. Sapendo che è sempre impresa difficile, come si suol dire, trovare le parole. In un tempo in cui la parola si è smarrita, travolta dal nominalismo imperante e spesse volte banale.

I rischi della faciloneria e della retorica moralistica

Provando a sfuggire da due rischi mortali: la faciloneria del giudizio e la retorica moralistica. Le armi più usate dal nichilismo moderno. Che ahimè mi ritrovo spesso, se non sto sveglio, ad usare anche io. Che trovo così diffuse anche nella nostra terra.

Si rende così necessario un dialogo tra noi perché le parole non sono semplici termini, sono un mistero relazionale. Un nodo di senso che vive solo nel legame. Non c’è separazione tra significato e significante, tra parlante e ascoltatore, c’è una relazione che vive nella trama del silenzio. Da cui tutto nasce e a cui tutto torna. E’ per questo che le parole possono far vivere o uccidere un’esistenza.

Già questo atteggiamento e questo allenamento potrebbe aprire un varco alla speranza in noi e tra noi, rompendo il tempo della banalità e dell’indifferenziato, in cui tutto è spesso intercambiabile e insensato.

In una società che si regge su una esasperata efficienza, una assurda accellerazione e la massimizzazione di qualsivoglia risultato non è richiesto nessun “senso delle cose”, basta funzionare. Vale ciò che funziona. L’ossessione del “come” sovrasta ogni altra esperienza di conoscenza, sovrasta e annichilisce ogni “perché”.

Non solo tecnocrazia

Per questo oggi la speranza, virtù divina, non può essere accostata al futuro lineare. Cambieremo, vinceremo, ripartiremo. Oggi, non basta più la categoria temporale del futuro per vivere meglio, per vivere pienamente. Se mai questo accostamento sia bastato all’uomo per realizzarsi nel corso di questi millenni. Il futuro è completamente colonizzato dall’immaginario tecnocratico e dalla potenza di cui è portatore. I miracoli oggi li fa la tecnologia. Grandezza e meraviglia della modernità.

Ma la realtà è costituita da visibile e invisibile. La creazione è visibile ed invisibile.

Noi speriamo nell’invisibile, speriamo nella concretezza dell’invisibile presente in ogni oggi, in ogni istante.

Cercando il futuro e le parole per dirlo, dunque. Così, forse, prende vita quello che acclamiamo nella liturgia “ Nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo”.

A presto.

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