
Cari Fratelli e sorelle
Nel tempo corto in cui il futuro si restringe e anche la gioia fa paura, la speranza non è idea, è carne. È fiato che entra quando il respiro manca. È il Risorto che passa attraversa le soglie della nostra vita le porte ancora chiuse per timore e paura. Entra. Non forza l’ingresso, non rinfaccia l’abbandono, non chiede prove di fede. Semplicemente, soffia. Come al principio lo Spirito aleggiava sulle acque quando il caos regnava sovrano, così ora nel caos del cuore umano lo Spirito ricrea, fa nascere ancora, genera di nuovo. Sì, quel soffio riapre i respiri e fa nascere, da adulti, una seconda volta. Anche il perdono è offerto dal Risorto, quale secondo dono, a uomini rotti e feriti, per una rinascita. Il perdono non è scusa,
è parto.
Nei gesti del Risorto è racchiusa la Pasqua intera: un Dio che, passando attraverso la morte, non si tira indietro dalla vita, ma la ricomincia da capo. La ritesse dall’inizio. In noi. Egli non viene per giudicare, ma per ricominciare.
Nascere di nuovo non è una metafora per Tommaso, è lasciare che la vita ci trapassi. È un cammino per ciascuno: accettare che la vita ci venga consegnata fragile, con le sue crepe, eppure già abitata da un Dio che non si vergogna delle nostre cicatrici. Il Risorto non cancella le ferite, le mostra. È lì che si fa trovare e riconoscere. E’ così ci insegna che credere non è rimuovere il dolore, ma riconoscere che dentro ogni ferita può nascere la vita.
Tommaso è come ogni figlio. I bambini appena nati tengono i pugni chiusi… Gradualmente il bambino apre le mani per esplorare il volto della madre. Il bambino ha bisogno di toccare. Gli altri discepoli erano già risorti, nati alla vita nuova, Tommaso non ancora, i suoi occhi erano chiusi e come un bambino vuole toccare il volto, le mani, il seno di Gesù. Gesù era per lui l’assente nel sepolcro, non il risorto che sta in mezzo a loro. Tommaso vuole vedere, toccare. Qui accertarsi della Sua presenza vuol dire essere toccati dall’amore: “se non vedo non credo”.
Tommaso tocca le ferite. Non chiede prove, chiede verità. Chiede di entrare in contatto con il Maestro amato. Nel corpo del Risorto è la risposta che ogni figlio cerca: anche le nostre ferite possono essere attraversate dalla luce, abitate da Dio. «L’unica cosa che si può perdonare è l’imperdonabile», (S. Petrosino). Se il male ferisce il perdono non cancella la ferita, la rimargina. Perdonare l’altro è rimarginare le nostre stesse ferite. «Bisogna vivere con noi stessi come con un popolo intero: allora si conoscono tutte le qualità degli uomini, buone e cattive. E se vogliamo perdonare gli altri, dobbiamo prima perdonare a noi stessi i nostri difetti» (Etty Hillesum).
Ogni bambino all’inizio cerca la fisicità della madre, il volto, la voce, la sua parola per essere confermato nella fiducia della vita. Tommaso toccando il Signore viene confermato nella fede in Gesù presenza affidabile a cui si può abbandonare esclamando: «mio Signore e mio Dio». Per ogni piccolo la presenza dell’altro, di cui la madre è il primo volto, è legata alla sua fisicità, imparerà dopo il bambino a interiorizzare la presenza e a sentire la madre presente anche quando è assente o sottratta al suo sguardo. Non avremo così sempre bisogno di vedere segni per credere. A questo, Tommaso è ricondotto da Gesù: «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto».
Ogni figlio, come Tommaso, all’inizio della vita è anche incredulo, ha bisogno di toccare con mano, di esplorare, di avere un riscontro nella presenza fisica della propria madre. La fiducia e la fede del bambino crescono con quella della madre stessa, grazie al loro rapporto e alla capacità della madre di rimandarlo anche ad altro da sé, al padre e al mondo. Nascere infatti non è tenere a sé l’altro, ma metterlo al mondo… «Decidere di avere un figlio non è un fatto naturale; è una scelta radicale. È decidere di avere per sempre il proprio cuore che cammina per il mondo, fuori dal proprio corpo» (Elizabeth Stone). Ogni figlio, è una parola scritta sulla pelle del tempo, una domanda che cammina. E ogni madre è grembo di promessa aperta al mondo.
Si viene alla vita senza deciderlo, ma non si diventa veramente uomini senza deciderlo. Quella vita che hai ricevuto attende di essere accolta e di prendere in te forma. L’umanità nella sua pienezza è il frutto di una scelta, di un desiderio, di prove che si superano, di una fiducia che si struttura in fedeltà. Bisogna deciderlo, bisogna volerlo. È questo che è difficile» (S. Petrosino).
In alcune nostre comunità si celebrano in questi giorni i Battesimi. Il Battesimo è questa soglia della vita che segna nella fede il rito di passaggio della nascita di un figlio, di una figlia. Qui sulla soglia la voce del Risorto sussurra a ogni essere umano: “Tu sei mio figlio, Tu sei voluto, Tu sei amato e amato. La tua vita è degna”. E noi, che di figli spesso non sappiamo che fare, che ci sentiamo impreparati, disillusi, spaventati, abbiamo bisogno di questa voce, per non chiudere la porta della speranza alle nuove vite che ci vengono affidate.
Un inizio che si accende nel cuore dell’umanità ferita, per dire che anche oggi ogni vita è promessa, ogni nascita è chiamata. Ogni cura è rispondere ad ogni figlio del mistero della vita, della sua promessa. E qual è la promessa? Siamo tutti figli? No! Siamo tutti generati da altri. Essere figlio bisogna sceglierlo. Si diventa figli e si agisce da figli se lo si vuole davvero. Lo si diventa da adulti. Così come l’essere cristiani lo si diventa da adulti. Rinascere è promessa di seconda nascita.
Anche il battesimo ci dice che ogni inizio è già abitato dalla Grazia, che la vita non è mai un caso, ma un atto d’amore che si rinnova. Ogni inizio è miracolo di vita, ogni figlio è parola di Dio fatta carne, parola scritta sulla pelle del tempo, è domanda che cammina. Siamo generati nel grembo di un amore più grande di noi. In un tempo dove tutto ci pare precario, una vita che nasce è una fiducia che ci viene rinnovata. E noi, come comunità, siamo chiamati a non soffocare lo stupore, a tenere aperta la soglia del cominciamento, a dire con la nostra cura che la vita è buona. Che vale la pena di essere vissuta e donata. Siamo chiamati a diventare grembo, a far spazio a chi nasce, a credere che nell’oggi della storia, da ogni ferita può rifiorire vita piena. Si può nascere ancora, anche stanchi, anche tardi, anche feriti. Si può credere che nelle nostre ferite passa la luce.
Qui si riaccende la speranza. Dove si nasce tra paure e stanchezze, dove l’inizio della vita è accompagnato più dal peso che dalla promessa, queste parole di Etty Hillesum ci restituiscono lo stupore e un senso di meraviglia per la vita: «Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me».
Dal grembo della Pasqua riparte la speranza. Silenziosa, viscerale, umana. Come un soffio. Come un figlio. Da qui vi salutiamo.
Chiusi,
per paura.
Lui entra.
Non forza:
attraversa porte.
Soffia.
Come all’inizio.
Nel caos,
genera
il nuovo.
Le ferite del parto
restano:
fessure di luce.
Tommaso tocca
e crede.
Ogni figlio
nasce così:
chiamato per nome.
Il Battesimo
è grembo.
La fede,
ferita
e cicatrice.
Dal buio alla luce:
un respiro.
Dal grembo,
la Pasqua.
Ancora.