
Il pittore fiammingo Simon Bening ha dipinto intorno agli anni 1525-1530 quattro pannelli contenenti ciascuno 16 miniature che illustrano il Vangelo e gli episodi della vita di Cristo.
Le immagini sono quindi in totale 64, ogni piccolo dipinto misura circa 7 x 5 cm.
È commovente questa sepoltura di Cristo: Gesù giace in orizzontale, il corpo rattrappito avvolto dal lenzuolo funebre, solo la testa sporge, è circondato da sei figure che affollano il minuscolo spazio nel quale si stringono; ne vediamo quasi solo i volti, alcuni sono seminascosti e tagliati dal bordo dell’immagine.
Impressiona in particolare l’intima vicinanza della madre e del figlio. Gli ovali dei visi sono scontornati ed evidenziati dal bianco chiarore del lenzuolo (per Gesù) e del velo sul capo (per Maria, poiché il manto blu lapislazzuli le sta scivolando sulle spalle).
Il volto di Cristo è esangue e spettrale, con le orbite degli occhi e le labbra livide e bluastre. La sua testa è rovesciata rispetto a quella di Maria, in questo mondo doloroso in cui sono rovesciate e capovolte le leggi della vita e dell’amore.
Maria, pallidissima eppur viva, composta e straziata, si china sul figlio: gli bacia il viso, lo accarezza con una mano e con l’altra gli sorregge la testa. Silenziose lacrime trasparenti le scendono sul volto.
Giuseppe D’Arimatea è sul lato destro, di profilo. Ha avuto il coraggio di richiedere all’autorità il corpo per la sepoltura, e ora fissa con intensità la madre. L’uomo accanto a lui è probabilmente Nicodemo, che in giorni passati si era recato nella notte, per non essere visto, a cercare un dialogo con Gesù. Anche Pietro è lì, addolorato, ripiegato sull’amico e maestro, ripensa certamente anche al proprio tradimento.
In lontananza uno spicchio di cielo, la croce vuota, la scala; vicino c’è il sepolcro aperto per accogliere il corpo che vi sarà deposto.
Poi arriva il silenzio, è già silenzio. Appare definitivo e terribile, come incolmabile è diventata la distanza e impossibile l’ascolto di una parola e di una voce che facevano vivere.
Ma le parole di Gesù appaiono a noi vive e vere proprio perché giungono da quel silenzio, dal sepolcro in cui sono state rinchiuse perché lo Spirito restituisse ad esse vita, insieme a tutta la vita, di Gesù e dell’uomo. Noi non riusciamo a credere che anche Dio possa giungere dalla morte, che lo spirito l’abbia vissuta e attraversata.
Com’è strana per noi la presenza del Signore: si esprime mediante parole passate, e anche oggi egli non le pronuncia, tace ostinatamente. Ma quando furono pronunciate erano quasi parole d’attesa, da compiersi, esse attendevano il silenzio del sepolcro per diventare vere. Perché il nascondimento del Signore non fu solo quello della morte, anche quello dei suoi giorni terreni lo fu, e si manifestò solo allora, all’alba del terzo giorno, il giorno in cui egli vive. Passeremo la vita a cercare di comprendere quel tempo e quel momento.
Nessuna parola, pagina o racconto che siano letti dall’abitudine possono far vivere: l’unica parola che cerchiamo, la sola che potremo ascoltare, ci raggiunge attraversando e risalendo quel silenzio e l’intera nostra storia, si sostituisce alle tante incerte e inconcluse parole, è detta in noi per grazia, pronunciata interiormente dallo spirito, che dà vita alle cose morte.