Alla fine del suo Vangelo, Matteo ci presenta i discepoli che, mentre si prostrano in adorazione del Risorto, ancora “dubitano un cuor loro” (Mt 18, 17). È la primitiva piccola comunità disorientata e spaventata, quella stessa che, al momento dell’arresto del Maestro, “abbandona Gesù e fugge”.
È un dato di fatto. La fede non è statica: c’è contemporaneamente luce e tenebra, presenza e assenza. Si tratta di una vita in cammino, sempre aperta alla sfida e alla minaccia degli avvenimenti.
In ogni caso è consolante sapere che Gesù non pretende da noi l’atto di fede, che i più vecchi fra noi hanno imparato a memoria quando si preparavano alla prima Comunione, ma ci affida una missione: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli, immergendoli, nel mistero di Dio” (Mt 28, 20).
Gesù non chiede ai suoi amici un “atto di fede” ma li manda
Gesù chiede anche oggi alla Chiesa di presentarsi come Chiesa povera, umile, e libera dall’assillo di una sua verità, perché possa diventare spazio di presenza del Risorto: “Io sono con voi fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20) e testimone della sua potenza di amore.
Chiede “l’ubbidienza della fede”, “l’ubbidienza che è fede” (Rm 1, 5). Solo con l’ubbidienza alla sua parola, si arriva ad incontrarlo, dentro la contingenza dei giorni che ci è dato vivere.
L’appello di Gesù ci richiama all’essenzialità dell’obbedienza, che è la grazia della fede.
Questa fede è la “carne” che attraversa tutte le crisi che la vita ci presenta, non le nega, non le sublima, né le nasconde, ma le vive, tramite la storia, nella prassi quotidiana, con l’offerta dei nostri corpi.
Chi si mette in cammino dietro a Gesù impara passo passo ad assumere il suo stile, ad abbandonare tutto quello che appare ovvio, conveniente, utile per sé, e sperimenta l’audacia di rifiutare ogni forma di schiavitù, di dittatura, di conformismo alle mode del mondo, e soprattutto a soffocare il fumo dell’incenso che dedichiamo al nostro io.
Lo strano rabbì, giudicato matto e indemoniato, amico delle prostitute e dei publicani è il nostro Signore
“Seguimi!” È per questo invito che Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni, lasciano barche e reti, è per questo che il pubblicano Levi abbandona il banco delle imposte, e tutti si allontanano da casa e affetti.
Una sequela difficile, perché è la strada dietro a uno che è stato giudicato “matto”, “indemoniato”, figlio di un falegname, uno che viene da un oscuro villaggio della Galilea, dietro a uno strano rabbi che predilige i peccatori e le prostitute, che relativizza il sabato e la legge, ma che nella sua persona, sulla croce, ci dona il “comandamento nuovo”: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 14, 34).
È lo scandalo e la straordinaria bellezza della fede.
Ada