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Don Giacomo Facchinetti, che ci ha lasciato pochi giorni fa, è stato docente di Sacra Scrittura per quasi cinquant’anni. Ha seguito anche diversi gruppi liturgici. Alberto Bellini, nostro amico e collaboratore, ci ha fatto avere un appunto manoscritto di don Giacomo che, molto tempo fa, aveva usato con uno di questi gruppi.

Esodo capp. 19-24
Struttura: 
1 – Teofania, cap. 19
2 – Parola, capp. 20 – 23
3 -. Alleanza o incontro, cap. 24.

Prima di leggere il testo in modo analitico, particolare e continuo, è utile considerarlo in modo sintetico-unitario, per notare quali siano i temi principali e come siano in relazione tra loro.

Il Dio dell’Esodo, dalla potenza alla convivialità

Il primo tema è la teofania, manifestazione dei segni-fenomeni della natura (capp. 19, 16-19), che fanno immaginare il temporale (nube – lampi – tuoni), e il terremoto – vulcano (la montagna fuma e trema ….). Ci si serve dei fenomeni naturali più grandi, impressionanti, spettacolari, che l’uomo poteva non dominare ma solo contemplare, per evocare, significare la grandezza, potenza, trascendenza di Dio e il fatto che Dio è il Signore, Dominatore e non semplice personificazione, espressione dei fenomeni, forza della natura.
La reazione, risposta umana davanti a questa manifestazione di Dio è il sentimento del timore, paura, coscienza della propria piccolezza, dei propri limiti (Es 19, 18). Vedi Dt 5, 23-27. 

Questo è solo il primo momento della esperienza religiosa: se si fermasse qui sarebbe quasi solo una religione della grandiosità, ma specialmente della paura e dell’angoscia di fronte alla grandezza imponente e schiacciante di Dio.

Qui si introduce il secondo tema – secondo movimento della esperienza religiosa: la Parola, la Legge, la proposta di un progetto, di un ideale di vita. In esso si notano questi elementi: l’uomo è interpellato, invitato come persona responsabile e libera, chiamato a decidersi di fronte a certi valori di vita; l’esperienza religiosa è una scelta seria, impegnativa: propone, impone degli obblighi, dei doveri, dei comandamenti.

Ma neppure questo esaurisce l’esperienza religiosa. Se ci si ferma al dovere, all’obbligo si ha una religione dei servi, della imposizione, della costrizione, dello scambio: io obbedisco a Dio ma esigo una ricompensa, riconoscimento, premio equivalente.

Il punto di arrivo è raggiunto nel cap. 24, con i riti di conclusione dell’Alleanza, che hanno lo scopo di significare l’intimità di vita, la conversione, l’incontro, l’unità di vita con le figure della ospitalità, banchetto (vv. 1-2, 9-11) e della parentela con il Signore (vv. 5 – 8). Si indica così il fine e la perfezione della esperienza religiosa: l’intimità e l’amicizlaia con Dio, che non annulla i momenti precedenti (coscienza della della trascendenza, grandezza di Dio e coscienza della piccolezza, limite umano; la realtà della Legge, comandamento e senso del dovere), ma dà ad essi un sensenso più vero e più pieno.

La santità di Dio e la dignità del popolo

Intorno al primo tema si sviluppano ed organizzano altri elementi:.
1. Senso della santità di Dio: Dio è inavvicinabile, normalmente ci si può incontrare con lui solo in certi momenti (quando scende sul monte e si avvicina lui agli uomini (vv. 10-20), solo a certe condizioni (purificazione e astensione da rapporti sessuali, v. 15), solo con la mediazione di certe persone scelte (Mosè al Monte Sinai: più tardi nella storia di Israele per mezzo del Sommo Sacerdote (vv. 21-24).
2. Senso della dignità e valore del popolo di Israele: (vv. 5-6); proprietà particolare: espressione derivata dal diritto “feudale” indicante la terra che il Signore riserva a se’, liberamente e gratuitamente, per speciale favore. Mentre distribuisce il resto delle terre ai suoi vassalli, segno della personale e particolare appartenenza a Dio: Regno di sacerdoti, nazione santa: unisce due tradizioni: quella politica e quella cultuale. Tutto il popolo condivide e partecipa alla dignità regale e sacerdotale; anche se al suo interno il gruppo, la classe sacerdotale svolge funzione di governo: “iil regno dei sacerdoti”
3. E’ possibile ricordare la lettura critica e il superamento di questo modo di immaginare la manifestazione di Dio, come spettacolare, imponente, nella esperienza religiosa del profeta Elia sul monte Oreb-Sinai: vedi 1Re, 19, 11.-13.

Il Dio liberatore dona le sue leggi

Intorno al secondo tema si possono raccogliere queste indicazioni:
1. Il fondamento degli impegni, doveri, comandi imposti-proposti agli Israeliti c’è la libera e gratuita grazia di Dio, c’è il fatto che Dio ha liberato il suo popolo, quindi si è già fatto conoscere come Dio misericordioso, compassionevole, Dio della grazia. Solo dopo Dio si m mostra come Dio esigente, Dio anche della Legge e del dovere, della serietà (cap. 20, 1-2).

2. Ci sono tre tipi – tre forme di comandamenti:
a) Cap. 20, 3-6: unicità di Dio e proibizione delle immagini: sono propri a Israele, rivelati a lui per mezzo di Mosè; sono il centro, il fondamento della fede di Israele e lo distinguono dagli altri popoli vicini.
b) Cap. 20, 8-17: i grandi doveri morali: rispetto dei genitori, della vita, della dignità, onore, verità….; valori già conosciuti anche dagli altri popoli. La fede in Dio, la conoscenza di Dio, le rivelazioni di Dio assume e conferma la coscienza morale umana nella sua ricerca e scoperta del bene, del vero e del giusto. Così Israele condivide e partecipa a questa cammino, esperienza morale comune alla umanità.
c) Dai grandi principi religiosi, dai grandi valori morali si passa alle leggi, alle regole, norme concrete (cc. 24-23) che assomigliano molto alle leggi, usanze degli altri popoli e che sono presi in parte dal patrimonio culturale, tradizionale e giuridico degli altri popoli. Israele, popolo di Dio, si serve della esperienza dei popoli vicini per trovare e darsi delle regole capaci di rendere possibile e facilitare la convivenza sociale.

Dio invita Mosè a partecipare al suo banchetto

Intorno al terzo tema due sono i riti – segni della Alleanza:
1 . Dio invita Mosè sul monte,  per partecipare al banchetto; è il rito della ospitalità, valore sacro e inviolabile in una cultura nomade. (v. Gen 18); con ciò si valorizzano i segni, istituzioni della cultura degli uomini e si vuole significare la generosità, gratuita di Dio, la vicinanza con lui, la forza inviolabile del rapporto, relazione che si crea tra Dio e il suo popolo.
2. Il secondo rito (vv. 3-8) è quello del sangue; lo stesso sangue è versato sull’altare (segno visibile della presenza di Dio) e sul popolo: significano che uno stesso vincolo di sangue, la parentela unisce Dio al suo popolo.

Da notare che un aspetto importante di questo secondo rito è la lettura della Legge e perciò la comunione di vita con Dio si costruisce sulla base della obbedienza alla Legge. 

Anche il rito del sangue era un rito conosciuto, praticato nella società nomade (è praticata anche oggi in alcune tribù beduine).

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