Il clero della diocesi di Bergamo si è trovato, mercoledì della scorsa settimana, per la consueta “assemblea” di fine anno pastorale. Il vescovo mons. Francesco Beschi ha presentato la sua “lettera circolare” che invierà a tutti i credenti, il prossimo autunno.
Hanno avuto luogo diversi interventi “della base”. E’ possibile ipotizzare qualche “stato d’animo” prevalente.
Sto leggendo “La scelta di Enea” di Luigi Maria Epicoco. Mi sono imbattuto in un passaggio che è molto in linea con lo stato d’animo respirato alla assemblea diocesana della scorsa settimana. Dice Epicoco:
C’è una parola che descrive questi momenti di stasi esistenziale: accontentarsi. Chi si accontenta si fa bastare quel fazzoletto di terra, di certezze e di consapevolezze di cui è fatta la sua vita, non è alla ricerca di altro, non ha la pace ma persegue costantemente l’assenza del conflitto. Ha paura della crisi e così cerca tutto quanto possa tenerlo lontano da ciò che può mettere in discussione le sue certezze e il suo precario equilibrio (pag. 60).
Ecco: la Chiesa di Bergamo mi pare una Chiesa che si accontenta e, quindi, è una Chiesa che non è felice. In effetti, subito dopo, Epicoco aggiunge: “una persona che si accontenta, per definizione non può essere felice” (pagg 61).
In margine a questa sensazione mi è venuto in mente un paragone un po’ pretenzioso, forse. L’autore che sto citando insiste molto sulla speranza che ci fa uscire dal chiuso e ci spinge verso l’altrove e il nuovo, come è successo a Enea che è partito dopo che Troia è stata distrutta. La speranza è il viaggio e l’accontentarsi è la chiusura e la fine di ogni viaggio. Il paragone è con il grande classico della narrativa del ‘700: il “Candide” di Voltaire. Quel romanzo è un interminabile viaggiare alla ricerca del migliore dei mondi possibili, secondo la celebre intuizione di Leibniz. Ricerca del migliore dei mondi possibili che può essere presa – anche – come una parabola accettabile della ricerca tipica del credente. Solo che la ricerca instancabile di Candide finisce male: il migliore dei mondi possibili non c’è e l’unica soluzione è, appunto, accontentarsi, “coltivare il proprio giardino” e rinunciare alla pretesa che ha fatto iniziare il lungo viaggio.
Ma, appunto, Voltaire è l’espressione o atea o deista della filosofia illuminista, anticristiana comunque. L’uomo si chiude su di sé e si accontenta, perché si realizza da solo. Dio è il “grande orologiaio” che ha avviato il mondo, il grande orologio. Gesù è il grande uomo. Non esiste la pasqua.
Il credente, invece, non si chiude su di sé ma si apre all’Altro e all’altrove e non si accontenta. Accetta l’inquietudine e parte.
Ecco: il rischio della Chiesa di oggi, quella di Bergamo, almeno, è di non coltivare la speranza giusta, sufficientemente forte, e di adagiarsi a quello che è e a quello che ha: di accontentarsi, appunto. Ma questo potrebbe rimandare a qualcosa che ha a che fare con la fede: che tipo di Dio annuncia la Chiesa di oggi? E’ ancora il Dio di Gesù Cristo, che sta sempre “davanti a noi”, che ci manda “fino agli estremi confini della terra”?
Non è una questione di lana caprina.