Una Chiesa che “si accontenta”

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Si è tenuta, mercoledì scorso, l’assemblea del clero.
Uno stato d’animo diffuso di incertezza e di fatica.
Per la Chiesa, è sufficiente “accontentarsi”?

Il clero della diocesi di Bergamo si è trovato, mercoledì della scorsa settimana, per la consueta “assemblea” di fine anno pastorale. Il vescovo mons. Francesco Beschi ha presentato la sua “lettera circolare” che invierà a tutti i credenti, il prossimo autunno.

La Chiesa di Bergamo tra lucidità e rassegnazione

Hanno avuto luogo diversi interventi “della base”. E’ possibile ipotizzare qualche “stato d’animo” prevalente.

  • È sentimento diffuso quello di una “presa d’atto” dello stato di crisi. La Chiesa di Bergamo è una Chiesa che non si illude. Non coltiva grandi sogni, gestisce quello che c’è. Gestisce anche le sue (poche) speranze. 
  • Non ci sono grandi spinte in avanti. Ma non vengono neppure alla luce neppure grandi spinte all’indietro. Delle tendenze reazionarie di molti preti giovani si sa, ma non si vedono e non si sentono. Anche perché si ha notizia che diversi di questi preti ordinati negli ultimi anni disertano polemicamente riunioni locali e diocesane.
  • Il vescovo dà l’impressione di aver preso atto, a sua volta, di questa situazione. La visita pastorale è stata derubricata a peregrinatio. Anche la lettera che ha presentato alla assemblea non è più una “lettera pastorale” – come negli anni passati – ma una “lettera circolare”. Di fronte a una Chiesa che non fa grandi voli, anche il vescovo si adatta a volare basso.

Sto leggendo “La scelta di Enea” di Luigi Maria Epicoco. Mi sono imbattuto in un passaggio che è molto in linea con lo stato d’animo respirato alla assemblea diocesana della scorsa settimana. Dice Epicoco:

C’è una parola che descrive questi momenti di stasi esistenziale: accontentarsi. Chi si accontenta si fa bastare quel fazzoletto di terra, di certezze e di consapevolezze di cui è fatta la sua vita, non è alla ricerca di altro, non ha la pace ma persegue costantemente l’assenza del conflitto. Ha paura della crisi e così cerca tutto quanto possa tenerlo lontano da ciò che può mettere in discussione le sue certezze e il suo precario equilibrio (pag. 60).

Ecco: la Chiesa di Bergamo mi pare una Chiesa che si accontenta e, quindi, è una Chiesa che non è felice. In effetti, subito dopo, Epicoco aggiunge: “una persona che si accontenta, per definizione non può essere felice” (pagg 61).

Non basta coltivare il proprio giardino

In margine a questa sensazione mi è venuto in mente un paragone un po’ pretenzioso, forse. L’autore che sto citando insiste molto sulla speranza che ci fa uscire dal chiuso e ci spinge verso l’altrove e il nuovo, come è successo a Enea che è partito dopo che Troia è stata distrutta. La speranza è il viaggio e l’accontentarsi è la chiusura e la fine di ogni viaggio. Il paragone è con il grande classico della narrativa del ‘700: il “Candide” di Voltaire. Quel romanzo è un interminabile viaggiare alla ricerca del migliore dei mondi possibili, secondo la celebre intuizione di Leibniz. Ricerca del migliore dei mondi possibili che può essere presa – anche – come una parabola accettabile della ricerca tipica del credente. Solo che la ricerca instancabile di Candide finisce male: il migliore dei mondi possibili non c’è e l’unica soluzione è, appunto, accontentarsi, “coltivare il proprio giardino” e rinunciare alla pretesa che ha fatto iniziare il lungo viaggio. 

Ma, appunto, Voltaire è l’espressione o atea o deista della filosofia illuminista, anticristiana comunque. L’uomo si chiude su di sé e si accontenta, perché si realizza da solo. Dio è il “grande orologiaio” che ha avviato il mondo, il grande orologio. Gesù è il grande uomo. Non esiste la pasqua. 

Il credente, invece, non si chiude su di sé ma si apre all’Altro e all’altrove e non si accontenta. Accetta l’inquietudine e parte.

Ecco: il rischio della Chiesa di oggi, quella di Bergamo, almeno, è di non coltivare la speranza giusta, sufficientemente forte, e di adagiarsi a quello che è e a quello che ha: di accontentarsi, appunto. Ma questo potrebbe rimandare a qualcosa che ha a che fare con la fede: che tipo di Dio annuncia la Chiesa di oggi? E’ ancora il Dio di Gesù Cristo, che sta sempre “davanti a noi”, che ci manda “fino agli estremi confini della terra”? 

Non è una questione di lana caprina.

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