Un vecchio prete muore. Che cosa succede? Nulla

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Un vecchio prete muore. Che cosa succede? Nulla

Tutta la vita passata a fare, fare fare.
Adesso che non c’è più nulla da fare si rischia di non sapere che cosa vuol dire essere prete.
Rhaner aveva detto: “Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà”. Ma oggi è evidente che non siamo per nulla cristiani mistici

La cosa mi interessa, perché ci sono dentro anch’io. Ma il ragionamento me lo fa un amico prete, anziano come me. Ragionamento amaro, bisogna riconoscerlo. Ma ragionamento. 

“Se dovessi tornare al Creatore quali cataclismi esploderebbero?”

Il vecchio amico si chiede che cosa succederebbe se, per un accidente qualsiasi, dovesse tornare al Creatore. L’amico se lo è chiesto e si è dato anche la risposta. Succederebbe che qualche amico e qualche amica ci resterebbe male. Qualche amico e amica, vecchi, affezionati collaboratori, infatti, ce li ha, per via dei molti incarichi che ha avuto e soprattutto nelle parrocchie dove è stato curato e parroco. Pensa perfino che qualcuno di questi amici si lascerebbe sfuggire qualche lacrima.  

Ma, al di là di questi inevitabili rimpianti quali problemi nascerebbero dalla sua – diciamo così – dipartita? Quali difficoltà nascerebbero per la Chiesa di Bergamo?  Risposta dell’amico, del tutto personale: nessuna, anzi. Il prete anziano non fa nulla di necessario, infatti. Le attività “pastorali” (catechesi, carità, liturgia, sacramenti, funerali…) le deve fare il parroco o, dove c’è, il curato. Il prete anziano confessa e dice qualche messa. Ma per le confessioni: pochi, pochissimi ormai, si confessano. Le messe sono troppe e, se diminuiscono per via della dipartita di un vecchio prete, si è costretti a fare quello che si dovrebbe fare per altri motivi: cioè, diminuirle.

Ma poi, oltre a questa disoccupazione di fondo, il prete anziano è anziano e solo. E quando arrivano malattia, infermità, disabilità ci sono problemi enormi proprio per la Chiesa che deve pensare a come sistemarlo. Insomma, la vecchiaia di un prete è un peso, un peso per lui e per la Chiesa. Per cui, se capita che se ne vada – vale la pena dire crudamente la cruda verità – la Chiesa non perde nulla. Evita, invece, di avere un altro problema oltre a quelli che ha già. 

La Chiesa del “fare” non ha tempo da dedicare a chi non fa

Ma questo strano vantaggio per la Chiesa per la perdita di un prete, anche se anziano, pone delle belle domande anche e soprattutto alla Chiesa stessa. 

La Chiesa, quella di Bergamo almeno, ha sempre insistito molto sull’impegno, sul “fare”, sul molto impegno e sul molto fare. Il prete, soprattutto, è un infaticabile operaio del Regno. E più è infaticabile più è bravo. Lo confermano le biografie dei preti defunti che sono, quasi sempre, una lista delle chiese restaurate, degli oratori costruiti, delle molte realizzazioni: insomma, si tratta della lista delle cose fatte. Il prete sente sulla sua pelle una tendenza tipica della Chiesa di oggi, più impegnata a fare che a pregare. 

Dovremmo essere la Chiesa dei mistici, invece siamo rimasti la Chiesa degli indaffarati

Solo che, a questo proposito, mi è venuta in mente una frase celebre e molto citata del teologo Karl Rahner, il quale, molti anni fa, scriveva: “Il cristiano del futuro o sarà un mistico o non sarà”. Rispetto a Rahner, siamo noi i cristiani del futuro. Noi dovremmo essere dei mistici. Il guaio è che, in realtà, siamo oggi molto meno mistici di quanto non lo fossero Rahner e i cristiani del suo tempo: siamo più indaffarati, molto più indaffarati di allora.

La dimensione “mistica” della fede è stata dimenticata. L’amico mi fa qualche esempio. Che cosa significa per me oggi che “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” (Lettera ai Galati)? Che cosa mi dice il dono dello Spirito che mi fa gridare “Abbà, Padre” (sempre lettera ai Galati)? Sono figlio di Dio. Ma cosa significa? Si potrebbero moltiplicare queste domande “impegnative”, e senza risposta.  

Mentre, continua, se si chiede a me prete vecchio: “Che cosa fai?”, la risposta è facile: “nulla”. Quindi, siccome ho sempre pensato che dovevo dare e fare molto, ho finito per identificare la mia identità con il mio “fare”. Conseguenza: non potendo più fare, ora che sono vecchio, ho la sensazione di aver smarrito anche la mia identità di prete. 

Cerco di pregare un po’ di più, mi racconta: ho ripreso a dire il rosario (in parrocchia non riuscivo mai a trovare il tempo), faccio regolarmente la meditazione e poi, soprattutto, celebro ogni giorno. Ma fatico a far entrare la mia vita nella preghiera. Dovrei rinascere. Ma si può rinascere a ottant’anni?

1 Comment

  1. Bruno Felice DUINA ha detto:

    Caro don Alberto,
    troppo facile riconoscere nella tua domanda finale un richiamo a Gv. 3.4 “Gli disse Nicodemo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”
    La risposta è sì, certamente! lo spiega Gesù nel dialogo che segue.
    Ma voglio provare a riattualizzare la tua domanda rivolgendola a me stesso: anche se ho qualche anno meno di te non sono poi tanto giovane (sono comunque nato anch’io sotto Pio XII).
    Tante volte mi sono chiesto perché nonostante il mondo stia andando decisamente da tutt’altra parte, io continui a sentirmi cristiano (seppure con tutte le mie fragilità e inconcludenze).
    Ecco, tra i vari motivi vi è proprio questo: il cristianesimo offre sempre la possibilità, anche al peccatore più odioso, di rinascere. Per dirla in termini cari ai ragazzi di oggi tanto presi dai videogiochi, direi di “resettare” la vita e di cominciare da capo con zero penalità. Sì, di rinascere! C’è sempre una via d’uscita, una porta aperta ben illuminata.
    Di rinascere, ma anche più semplicemente di crescere, di mettersi in discussione, di convertirsi: il cristiano non getta la spugna perché sa, o almeno vive la speranza, che c’è Qualcuno che lo ascolta e con delle braccia aperte che lo attendono.
    Un abbraccio
    Bruno

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