Preti. Vecchi e tristi

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Ci troviamo, come capita alcune volte all’anno. Si pranza insieme.
E poi si parla. E, da buoni preti, si parla di Chiesa.
Siamo molto pessimisti. E, purtroppo, ci sembra di avere buoni motivi per esserlo.

Parliamo di Chiesa. Siamo delusi

E’ un’abitudine consolidata. Alcune volte all’anno ci si trova. Siamo i “compagni di messa”, cioè i preti ordinati nel 1967: un’eternità fa. A noi si aggregano anche due laici, compagni di seminario, che sono “usciti” prima di diventare preti. Eravamo in sedici ordinati in quel lontano 1967. Siamo rimasti in sei. Gli altri dieci “se ne sono andati”. “Siamo dei sopravvissuti”, ha commentato una volta uno di noi. “Siamo un po’ come quei gruppi di combattenti e reduci, che si trovano, vecchi e acciaccati, per ricordare le grandi imprese del loro passato”. Ma ormai abbiamo smesso, anche per motivi anagrafici, di essere combattenti e ci siamo adattati a fare i reduci.

Ci si trova, dunque, e si prende un pranzo insieme. Nonostante tutto, siamo rimasti capaci di ridere, di noi e del mondo attorno a noi. Ridiamo a parliamo anche di Chiesa. Soprattutto di quella parliamo. Ne parliamo a lungo ma, se si volesse dire in poco il molto di cui abbiamo parlato, si potrebbe definire così: siamo piuttosto delusi nei riguardi della Chiesa, di tutta la Chiesa, dal Papa fino a noi. Il Papa ci appare sempre meno profeta e sempre più gesuita. Ha parlato molto della Chiesa sinodale, ma ha preso alcune decisioni che l’hanno di fatto messa in discussione. Ad esempio, per la faccenda del diaconato alle donne: la commissione stava lavorando e il Papa ha deciso comunque che di diaconato alle donne non se ne doveva parlare La Chiesa monarchica sonnecchia nel cuore di tutti i responsabili, anche quando predicano partecipazione e sinodalità. 

La Chiesa di Bergamo. Smarrita lei e smarriti noi

Per la nostra Chiesa di Bergamo abbiamo compilato il nostro cahier de doléances: la mancanza di una prospettiva, di una linea che governi la crisi in corso, l’assenza di criteri nella scelta delle persone, l’incapacità di decidere da parte di chi dovrebbe decidere e la propensione a decidere troppo quando si dovrebbe avere la forza del confronto e del dialogo. Si è eccessivamente preoccupati di salvare il passato più che tentare di immaginare il futuro. E poi, un grande vuoto culturale… A questo proposito: quanti sono gli incontri di catechesi adulti, di confronti sulla bibbia, sulla morale, sul mondo in cui siamo chiamati a portare la “Buona Novella”? E i “professori del Seminario”? Nel dopo Concilio erano invocati da tutte le parti, da parrocchie e gruppi vari. Oggi, a parte i corsi che tengono ai pochi seminaristi rimasti, ci sembra che siano soprattutto dei grandi disoccupati. A questo proposito abbiamo ricordato uno dei nostri che “se ne sono andati”: don Pietro Garavelli. E’ morto neel 2021. Era stato, per molti anni, cappellano della casa di riposo delle Suore Poverelle di Torre Boldoni. Lo ricordiamo come un prete con una sua spiccata sensibilità, una sua dignità culturale. Abbiamo presente il fascino notevole di Garavelli esercitava sulle persone che incontrava. Ma abbiamo sostanzialmente concordato sul fatto che quel fascino era dettato dagli atteggiamenti “radicali”, un po’ fondamentalisti, volutamente evangelici, preculturali di don Garavelli. E’ quello che succede spesso agli uomini di Chiesa, che spesso annunciano il Vangelo ma non fanno la fatica di chiedersi come. 

Il ricordo del passato e la delusione del presente

Abbiamo anche preso atto delle ragioni più di fondo della nostra delusione: l’eredità inevitabile della vecchiaia. I vecchi sono sempre, più o meno, più più che meno, lagnosi. Non va bene nulla. Nel nostro caso la delusione viene soprattutto dal confronto che noi siamo sempre portati a fare fra la nostra giovinezza e la nostra vecchiaia. Abbiamo avuto la fortuna di vivere, durante i nostri studi di teologia e nei primi anni di pastorale, una Chiesa che si rinnovava, da tutte le parti. Tre di noi sono scesi a Roma, ospiti del Seminario Romano, per studiare teologia presso l’Università Lateranense. Era il 20 ottobre del 1962. Qualche giorno prima, l’11 ottobre, era iniziato il Concilio Vaticano II, inaugurato dal Papa bergamasco, Papa Giovanni, il concilio dell’apertura al mondo e alle sue provocazioni, il concilio delle grandi, coraggiosse riforme. L’esaltazione di allora diventa la ragione prima della depressione di oggi. 

Post Scriptum. Ne abbiamo parlato poco durante il nostro pranzo, ma ne abbiamo parlato in altre circostanze. L’essere cristiani e, in particolare, l’essere preti non significa essere sicuri che tutto andrà bene. Ma avere qualche motivo per andare avanti anche quando le cose vanno male. Bisogna tornare alla teologia della Croce.

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