Lunedì scorso ha avuto luogo un confronto Letta-Meloni presso la sede del Corriere della sera. Uno dei temi affrontati è il riconoscimento degli omosessuali. Letta ha affermato che “basta l’amore”. Meloni ha affermato che non tocca allo Stato “normare l’amore”. La posizione laica di Letta, da una parte, e quella militante di Meloni, dall’altra.
Letta, su questo problema, come su molti altri problemi di carattere culturale, dà l’impressione di dire quello che dicono tutti. Dice quello che dicono tutti anche su altri temi, che si possono rubricare come “rapporto fra fede e politica”, oppure: “cristiani e politica”, oppure, anche: “Chiesa e Stato”. Va notato che, per articolare il rapporto impegnativo che esiste fra una fede, quella cristiana in particolare, e la politica, ci si deve impegnare in un minimo di discorso culturale. Che cosa significa avere fede e avere fede in politica? Quale fede e quale politica?
La laicità, senza un adeguato accompagnamento culturale, si riduce a essere un’affermazione puramente negativa: la fede “non c’entra”
Ora, Letta, che è certamente un uomo di cultura, non dice nulla di quel tema culturale. Il fatto è piuttosto curioso. Mi sembra, anzi, che l’unica affermazione, ma implicita – Letta che io sappia non ne parla – è la rivendicazione della laicità. Ma la laicità, senza un adeguato accompagnamento culturale, si riduce a essere un’affermazione puramente negativa: la fede “non c’entra”. Senza un discorso culturale il credente si distingue solo perché dice con più forza che fede non c’entra: è più laico dei laici. Dal mio piccolissimo punto di vista, mi sembra un po’ poco. Alla fine mi chiedo, ingenuamente: ma Letta è credente? Risposta del tutto logica: non interessa. Che lo sia o non lo sia, fa lo stesso.
Come giustificazione al mutismo di Letta su questo tema si potrebbe citare il mutismo dei credenti sul medesimo tema. A cominciare dai vescovi, i quali, come si sa, tacciono.
Per Letta la fede non dice nulla alla politica, per i vescovi la politica non dice nulla alla fede
O dicono cose di una sublime banalità. Del tipo che la politica deve agire per il bene comune. Come se esistesse qualcuno che afferma che la politica deve agire per il male comune.
Dunque: per Letta la fede non dice nulla alla politica, per i vescovi la politica non dice nulla alla fede. E vissero tutti felici e contenti.
In questo magnifico vuoto irrompono i nuovi crociati. Salvini parla con madonne e santi sullo sfondo e con la croce al petto. La Meloni ha tenuto, non molto tempo fa, un citatissimo discorso a Madrid, dove, di fronte al pubblico del partito di estrema destra spagnalo Vox, ha affermato:
È sotto attacco la nostra spiritualità, il senso del sacro e le stesse radici cristiane, in nome di un relativismo assoluto e di un ateismo aggressivo che finiscono per spianare la strada al proselitismo fondamentalista. Così la laicità dello Stato viene usata come una clava contro i simboli del cristianesimo mentre si finge di non vedere che in Europa, ormai, interi quartieri sono in mano alla legge islamica.
E ha aggiunto:
Tutta la nostra identità è sotto attacco, ma noi non lo permetteremo! Io sono Giorgia, sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana: non me lo toglierete!
Dunque, sul rapporto fede politica: la sinistra non dice nulla e la destra dice troppo.
(A proposito dei missionari Salvini e Meloni che rivendicano con forza la loro appartenenza cristiana. Non so se qualcuno ha spiegato, al pluridivorziato Salvini, alla madre cristiana non sposata Meloni, che la visione cristiana della famiglia non è esattamente quella. Non parliamo poi di Berlusconi che, come tutti sanno, è un monaco che ha fatto il voto di castità).
Poi, il 25 settembre, andremo a votare. Sceglieremo chi ci promette più soldi per pagare le bollette. Il resto non ci interessa. Letta non ce ne ha parlato. E perfino i vescovi tacciono.