E’ un genere letterario corrente. Si esaltano i bravi preti di un tempo, oppure si ricordano le belle parrocchie di papà e mamma, oppure, meglio ancora, quelle di nonno e nonna. Eravamo tutti cristiani. Ci ricordiamo le belle messe della domenica, tutti vestiti a festa? E il nostro bravo parroco? Umile, servizievole, sempre vicino alla gente? E come non riandare alle gloriose feste, della Madonna, dei santi?…
E’ un genere letterario, dicevo. Molto ricorrente. Lo abbiamo ritrovato anche in interventi recenti sul labarcaeilmare. Ma vale la pena ricordare ancora il passaggio famoso della Recherche di Proust: “Si sogna molto il paradiso – dice il grande scrittore in Sodoma e Gomorra – o meglio, più paradisi successivi; ma sono tutti, molto prima che si muoia, paradisi perduti, e nei quali ci sentiremmo perduti”.
Notare: i paradisi sono più di uno e successivi. E si sognano molto, cioè sono oggetto di un intenso desiderio. Ma sono perduti, “molto prima che si muoia”. La perdita dei paradisi è messa in rapporto con la morte. Sembra di intuire che la morte è la perdita definitiva dei paradisi e che la perdita di essi, prima, è come la drammatica anticipazione della morte.
La elegia della Chiesa che fu, non riguarda solo la Chiesa, ma anche tanti altri mondi che ci hanno preceduto. Sono molti, infatti, i paradisi perduti. Ma è lecito pensare che i paradisi sono paradisi proprio perché perduti. Essendo paradisi, infatti, si dimenticano tutte le ombre che in quei paradisi c’erano comunque. La memoria ripulisce tutto e si ricordano soltanto le cose che ci procurano piacere.
Quindi delle vecchie parrocchie non si ricordano le tensioni, il clericalismo – sì, molto clericalismo nei vecchi buoni parroci -, le liturgie “lontane”, belle con il loro gregoriano (ma quante stonature!) e il loro latino (ma quante storpiature!), eccetera eccetera. Tutte quelle robe lì, precisamente non tutte entusiasmanti, sono state spolverate via. Sono rimaste solo le cose belle. Il mondo perduto è diventato paradiso.
Per quanto riguarda la Chiesa nasce un altro problema. Perché la Chiesa non è solo passata, ma è anche presente. Per cui presentare la Chiesa che non c’è più come un paradiso, vuol dire anche suggerire, sommessamente, che la Chiesa che c’è non è un paradiso.
Ecco il rischio: l’elegia del bel tempo della Chiesa che fu rischia di diventare un pretesto per fuggire dal tempo deludente della Chiesa che c’è. E’ comodo, infatti, vivere nella Chiesa di oggi rimpiangendo la Chiesa di ieri. E’ molto più maturo accettare la delusione della Chiesa in cui viviamo, affrontare la fatica e il rischio della critica che evitare tutto questo limitandosi, semplicemente, a fuggire via in un rassicurante paradiso perduto.