Il perdono è una cosa seria. E difficile

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Il perdono è una cosa seria. E difficile

Lucia, la mamma di Willy, il ragazzo ucciso dai fratelli Marco e Gabriele Bianchi, il 6 settembre 2020, a Colleferro, provincia di Roma, ha rilasciato alcune dichiarazioni. Ha parlato di perdono

“Il perdono è un’altra cosa”

Willy Monteiro, il ragazzo assassinato

Lucia ha parlato in occasione della decisione del tribunale che ha cambiato la condanna all’ergastolo dei fratelli Bianchi a quella di 24 anni e a 23 e 22 per i loro complici.

Lucia ha detto: “Non provo rabbia, abbiamo avuto giustizia anche così e accettiamo la decisione dei giudici. Ma il perdono è un’altra cosa, prima bisogna chiedere scusa e mostrarsi pentiti, poi si può chiedere perdono. Questo non è mai avvenuto”. 

Parola sante, si potrebbe dire. Come esiste l’inflazione della violenza, può esistere anche l’inflazione del perdono.

Come esiste l’inflazione della violenza, può esistere anche l’inflazione del perdono

Molti pensano che il delitto perfetto deve essere incorniciato dal perdono perfetto, concesso, quindi, a tamburo battente mentre il sangue della vittima sta ancora scorrendo.

Mi ha sempre irritato la domanda che il solito giornalista più zelante degli altri chiede al famigliare della vittima di turno: “Lei è disposta a perdonare?”. Come se perdonare fosse la voce scontata di un protocollo. 

Il perdono troppo facile rende banale il male

I fratelli Marco e Gabriele Bianchi, gli assassini

Le parole di Lucia richiamano, tre le altre, due verità che riguardano il perdono, una più preziosa dell’altra. 

Una riguarda colui che concede il perdono. Il perdono è un’altra cosa: chi perdona deve fare un percorso molto lungo e molto difficile. Il perdono “sui due piedi” non è una cosa seria. La fatica per arrivarci è il pedaggio inevitabile da pagare. Se non si paga nulla si può sospettare che non si è capito davvero quanto sia grande il male subito e come sia difficile “cancellarlo” con due semplici parole. 

Il perdono deve essere soprattutto un argine al male

La seconda riguarda il destinatario del perdono. Ha ragione anche qui Lucia: Se non c’è davvero “conversione”, distacco serio dal male, che senso ha perdonare? Il perdono, infatti, deve essere soprattutto un argine al male. Si rinuncia alla ritorsione, anche a quella del rancore contro l’assassino, perché non si vuole concedere nessun alibi al male.

Ma se chi ha ammazzato non si pente, il mio perdono rende banale il male commesso e finisce per essere un silenzioso invito a ripeterlo. Si deve porgere l’altra guancia ma perché chi ha colpito non colpisca più. 

Il male commesso è cosa molto seria, ma è cosa ancora più seria il perdono. Per cui mi domando se non potrebbe essere vero uno strano paradosso: che un perdono concesso troppo facilmente è più dannoso di un perdono rifiutato.

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