
Prima che il diritto romano codificasse gli elementi fondamentali del nostro vivere democratico così come oggi li conosciamo, esistevano ancora forme di proprietà affatto particolari.
I pascoli sfuggivano alla dislocazione antinomica “rivale ed escludibile”: un bene o un servizio si dice rivale quando il consumo da parte di un cittadino non può essere condiviso da un altro; si dice escludibile se può essere regolamentato il suo consumo, vale a dire se è possibile consentirlo ad un cittadino, ma impedirlo ad un altro.
Questo lo schema classico:
Rivale | Non rivale | |
Escludibile | Bene privato
esempio: automobile |
Bene tariffabile
esempio: autostrada |
Non escludibile | Bene comune
esempio: riserva di pesca |
Bene pubblico
ad esempio: aria |
Allora una riserva di pesca fa al caso nostro.
Eppure storicamente i benicomuni si riferivano ai pascoli; ma la caratteristica sottostante che accomuna pascoli e riserva di pesca è la loro esauribilità.
Se una cosa, un elemento, è destinato a esaurirsi, è la sua cura l’aspetto determinante. Mettere in comune le cose richiede la pratica tenace e paziente di “portare” ragioni, forse più feconda dell’ostinato “avere” ragione.
Emerge allora in tutto il suo valore “costruire il comune”; perché attraverso la storia questa forma istituzionale di organizzarsi che l’uomo si è dato, permette di poter convivere, decidere delle cose che ci riguardano tutti e questo è importante se non vogliamo limitare la nostra esistenza all’angusto orizzonte di ciascuna nostra piccola vita.
Penso che “coltivare” e “custodire” siano un po’ la vocazione, il senso di ogni persona, che rimanda all’essere soggetti attivi nelle comunità.