Turchia e Siria. I terremotati e noi

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Il disastroso terremoto, i molti morti
Le nostre possibili reazioni fra sollievo per noi e solidarietà per loro
In ogni caso “si ha sempre un po’ vergogna a essere felici da soli”

Tutti hanno qualcosa da pensare sul terremoto che ha squassato una parte della Turchia e una parte della Siria. Anche quelli che non dicono nulla. 

Il rischio della assuefazione alle tragedie

Una delle prime sensazioni è quella di un dramma “in diretta”. All’inizio, qualche decina di morti, poi qualche centinaio, poi, adesso alcune migliaia. Mentre scrivo sono oltre cinquemila. Non possiamo prevedere dove ci fermeremo. Le molte informazioni ci fanno partecipare. In qualche modo ci costringono a parteciparvi. Con una serie di possibili, diverse conseguenze. Tra guerra in Ucraina, disastri della natura e terremoti siamo nella situazione di trasformare in eventi normali i drammi più “anormali”. Insomma, corriamo il rischio, più volte denunciato, di una assuefazione. Il che significa, in altre parole, che la nostra società, invasa da una vasta, continua informazione, corre il rischio di scivolare verso una qualche forma di crudeltà: fatichiamo a commuoverci. In particolare, dobbiamo riservare le nostre lacrime per i dolori privati, non ne abbiamo più per quelli pubblici.  

Ci accorgiamo di essere fratelli nonostante

Ma alcune immagini che ci sono pervenute, probabilmente, hanno fatto breccia. Quando si vedono persone disperate per quelli che hanno perso e per quello che non hanno più – case distrutte e tutto il resto andato in fumo – non è facile restare sempre indifferenti. L’assuefazione non può funzionare in ogni caso. Non può funzionare neppure di fronte a un giovane papà – lo abbiamo visto, tra le tante immagini di ieri – che piange di gioia con il suo bambino ritornato vivo da sotto le macerie.

Certe immagini fanno riscoprire una forma di fraternità di fondo, che va oltre i confini, quelli geografici, quelli culturali, quelli religiosi. Una mamma disperata o un papà che piange di gioia è di casa in Turchia, in Siria, in Italia, dappertutto.

Anche questa volta, dunque, siamo in bilico fra due estremi. Da una parte, la soddisfazione silenziosa di essere salvi noi e le persone che ci sono care. Più la disgrazia è grave, più tiriamo un sospiro di sollievo per non esserci dentro noi.

Dall’altra parte, l’angoscia anch’essa silenziosa, di tanti morti e di tanti pianti per i tanti morti. In quel caso ci accorgiamo, come dice un personaggio della Peste di Camus che si ha un po’ vergogna a essere felici da soli.

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